Primo problema: le componenti della identità di Gesù. La domanda centrale è, che rapporto intrattiene Gesù Cristo con il Padre? Gesù è Dio in lui stesso? Oppure è solo una creatura umana? Oppure si colloca in una condizione intermedia? Come abbiamo detto la riflessione si articola in 3 diversi rami.
Gesù non è Dio ma semplice uomo, con ancora due diverse definizioni.
Ebionismo: si esclude la nascita virginale di Gesù, Gesù è solo un uomo eletto da Dio, come il vero profeta di Israele; è rivestito di potenza di Dio, ma non è il Figlio di Dio. C’è il rifiuto della divinità di Gesù, come invece affermato da San Paolo.
Adozionismo: Gesù sarebbe stato un uomo, nato per volere di Dio dalla vergine Maria e in occasione del battesimo al Giordano avrebbe ricevuto lo Spirito divino che lo avrebbe elevato al rango di Cristo superiore e reso figlio adottivo di Dio (alcuni sostengono però che la adozione sarebbe arrivata al momento della resurrezione). Paolo di Samosata sostiene una ulteriore variante dell’adozionismo, per cui c’è inabitazione del Logos divino (logos inteso come parola di Dio che da la vita) in Gesù, ma solo come forza operativa di Dio, priva di sussistenza come persona divina in Gesù: la sua impostazione si diffuse nella regione di Antiochia e venne condannata nel Concilio di Antiochia del 268. Per rispondere a questa impostazione si diffuse la spiegazione per cui il Logos divino si incarna nell’uomo, svolgendo la funzione direttiva, che nell’uomo è svolta dalla nous, l’anima intellettiva.
Gesù è Dio, ma non è un uomo: con almeno 5 diverse definizioni, che si influenzano tra loro.
Docetismo/gnosticismo: dokeo in greco significa apparire; il termine non intende un gruppo religioso definito, ma una tendenza di fondo presente in diverse correnti cristologiche antiche. Il docetismo nasce dalla difficoltà di comprendere la incarnazione e dal tentativo di escludere tutto ciò che è indegno del Figlio di Dio, come umano, e insieme dalla difficoltà di spiegare la passione e morte in croce. È una tendenza presente fin da subito (infatti i Vangeli insistono molto sulla venuta di Gesù dalla carne, 1Gv 4,2; 5,6). Il docetismo rifiuta a Cristo qualunque vera incarnazione sostenendo che il suo corpo e la sua carne siano solo apparenti e non reali, una maschera indossata da Logos divino per compiere la missione sulla terra, non si è mai verificato il divenire uomo di Dio. Vediamo alcune sfaccettature.
La maggior parte degli studiosi ritiene che il docetismo affondi le sue radici nel dualismo spiritualistico del platonismo, per cui materia e divini si escludono mutualmente (e qui vediamo in opera una lettura della teologia con categorie filosofiche, un errore spesso ripetuto nei secoli). Va detto che la passione di Gesù sulla croce è davvero “scandalo per i giudei e stoltezza per i pagani” (1Cor 1,24): il primissimo nucleo docetista è da ricercarsi proprio in questo rifiuto, per la reale difficoltà provata dai primi cristiani di far coesistere la immutabilità divina con la passione e morte (va detto che la idea stessa di immutabilità divina già non è biblica e appare influenzata dal platonismo e dall’ellenismo, per quanto potrebbe essere stata apposta nel Cristianesimo dalla mancanza di intervento di Dio nella morte stessa di Gesù). Il nucleo iniziale si sarebbe allargato dalla morte alla incarnazione, arrivando alla posizione per cui il corpo di Gesù era solo apparente.
Lo gnosticismo riflette idee docetiste, senza comprenderlo interamente; nello gnosticismo tutto ciò che è materiale e corporeo è di per sé negativo, incapace di portare salvezza e anche di riceverla. Per questo il Logos divino non può essere legato ad un corpo ma solo assumerlo apparentemente. In questa direzione però emerge la idea che Gesù ha redento solo tutto ciò che ha assunto e la carne viene esclusa dalla redenzione, perché non assunta da Gesù, nemmeno nel concepimento e nella nascita (per i Valentiniani Gesù sarebbe nato per Mariam, attraverso Maria, passando da lei senza commistioni); mentre il Vangelo ci mostra la nascita ex Maria, con la partecipazione reale di Maria alla costituzione del corpo di Gesù.
Colui che muore sulla croce, muore solo apparentemente: Ireneo di Lione risponde a questa posizione mettendo in luce che, se la morte di Cristo è solo apparente, non può avere valore salvifico e redentivo per noi. Ricordiamo la grande opera di Ireneo di Lione, Adversus haereses, nella quale ha trascritto le eresie con le sue relative risposte, consegnandoci così tutta la conoscenza che abbiamo oggi. È dunque merito suo se possiamo inoltrarci nella conoscenza delle eresie antiche.
Colui che muore sulla croce è Gesù, ma non è il Cristo: è una variante che deve tenere insieme la impassibilità divina e la passibilità di Gesù e si svolge individuando Cristo come soggetto divino e Gesù come soggetto umano; al momento della morte Cristo si sarebbe ritirato nel Padre e avrebbe da lì assistito al supplizio dell’uomo Gesù. La setta gnostica degli Ofiti e di Cerinto, contemporanei di Giovanni evangelista, sostenevano questo.
Colui che muore sulla croce, è un fantasma: si tratta di una testimonianza di Tertulliano su un certo Saturnino, che sosteneva che la passione era vissuta solo in apparenza, dal momento che la incarnazione di Cristo era fantomatica. Riporto questa teoria, perché somiglia alla interpretazione data dall’Islam alla passione e morte di Gesù.
Colui che muore sulla croce non è Gesù, ma Simone di Cirene: secondo Basilide, vissuto nel II secolo, fu crocifisso Simone, perché il suo aspetto venne miracolosamente mutato in quello di Cristo e viceversa.
Colui che muore sulla croce è il Cristo carnale: questa posizione mostra già una maggiore pericolosità ed era sostenuta da un celebre gnostico egiziano di nome Valentino. Conosciamo questa eresia dalla testimonianza di Tertulliano: nel suo discorso contro i Valentiniani, Tertulliano spiega che i discepoli di Valentino distinguono Gesù Cristo in 4 parti, psichica, corporale, spirituale e divina; solo le parti psichiche e corporali avrebbero sofferto la passione, mentre le parti spirituali e divina sarebbero impermeabili alle sofferenze e si sono cancellate nel momento della comparsa davanti a Pilato.
La risposta al docetismo arriva da Ignazio di Antiochia, Tertulliano, Ireneo di Lione, Origene e Ippolito di Roma; il punto di appoggio della critica al docetismo è il passo di Giovanni 1,14, il Verbo si fece carne. Questo Verbo è inteso come Logos di Dio, come Figlio unigenito e coeterno, che assume la natura umana pienamente dalla nascita alla morte, come raccontano i Vangeli e come la Chiesa ha sempre sostenuto.
Gesù Cristo è più che un semplice uomo, ma è anche meno che Dio
Arianesimo: Ario era il presbitero di Alessandria di Egitto, condivideva lo schema Logos/sarx in contrapposizione e era esponente della Teologia del Logos (II secolo), per cui Cristo è Logos unito al Padre, ma contemporaneamente da lui distinto e subordinato, solo interprete della volontà del Padre nei confronti del mondo creato. Il Figlio quindi risulta una creatura subordinata al Padre, inferiore che non partecipa alla sua divinità. Di riflesso sul rapporto uomo-Dio, lo schema Logos/sarx è condiviso da Ario per questa correlazione: in Cristo il Logos prende il posto della anima umana e ha le passioni che vediamo agire in Cristo, mentre la natura divina non era collegata a questa in Gesù, perché non poteva ammettere le alterazioni delle passioni.
Gesù Cristo quindi non è un semplice uomo, come per gli Ebioniti, né un uomo in cui inabita il Logos come dynamis, come per Paolo di Samosata, è di più, perché ha il Logos; tuttavia, il Logos che lo abita non è generato dalla essenza del Padre, non partecipa della divinità del Padre e questo fa di Gesù un dio inferiore, estraneo alla divinità.
La risposta al primo problema arriva compiutamente dal Concilio di Nicea del 325 d. C. La piena realtà della carne era già stata difesa dai teologi citati sopra; nel Concilio si tratta di mettere al sicuro la sua piena divinità contro la minaccia ariana; la risposta arriva da Alessandro di Alessandria e Atanasio.
I padri conciliari proclamano la divinità di Gesù nel simbolo che ancora oggi recitiamo. Generato della stessa sostanza del Padre, per via della Incarnazione, che pone la stessa sostanza nella gestazione di Gesù da Maria; è quindi Dio vero da Dio vero, per sua stessa natura; è generato dal Padre, non creato, per la sostanza della incarnazione che segue la forma umana della gestazione; consustanziale sempre per la sostanza della Incarnazione.
Come vediamo, i problemi si complicano… Anche se l’intento rimane sempre quello di chiarire! Il presente testo nasce da una rielaborazione scritta degli appunti ad usum studentorum del Corso di Cristologia tenuto nell’A.a 2021-22, presso l’Issr di Fossano, sede della Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale, dal professor Claudio Margaria; tutti gli errori e imprecisioni, che potessero esserci, sono da imputare unicamente alla sottoscritta!