Con Daniele, ultimo dei grandi profeti, che porta nell’Antico Testamento in genere della apocalittica, è importante parlare del ruolo che ha svolto il profeta come figura che emerge dal corpus di testi profetici; possiamo evidenziare almeno 4 ruoli:
- Profeta come uomo della Parola; lo abbiamo incontrato in Giona, nel prossimo incontro;
- Profeta come uomo del culto autentico; abbiamo commentato la vocazione profetica di Amos e di Osea e il loro messaggio;
- Profeta come uomo della comunità; abbiamo conosciuto il ruolo profetico di Isaia e Geremia nelle loro comunità e la azione profetica di Ezechiele nel popolo;
- Profeta come uomo del messia, suo annunciatore; lo potremmo conoscere meglio in Giovanni Battista;
Daniele esprime al termine del ciclo dei profeti, quando sembra esaurita la ispirazione letteraria e profetica, una grande forza creativa. La apocalittica è erede della profezia, nasce quando si è quasi estinta e pretende di sostenerne la missione: riprende l’interesse verso la storia e verso il destino del popolo, invita alla speranza e alla fiducia in Dio, aggiungendo la interpretazione attualizzata della profezia. La interpretazione è piuttosto una attività di ordine sapienziale: i profeti classici reinterpretavano oracoli dei predecessori, l’autore apocalittico utilizza la sua riflessione, senza appellarsi ad un nuovo oracolo di Dio. Questo tipo di interpretazione non elabora però una narrazione unitaria e sostenuta, intorno a temi ben definiti, perché si limita a riferimenti concreti, ad esposizioni apologetiche, a racconti di finzione. Se leggiamo i testi di Giuditta ed Ester (come faremo prossimamente), possiamo vederne le somiglianze in modo molto concreto.
Nei tempi critici in cui il libro è scritto infatti, si fa ricorso ad espedienti letterari come la finzione e le immagini allegoriche: finzione nell’affidare il racconto ad un personaggio illustre, trasformando la storia in profezia fittizia; immagini allegoriche per spiegare periodi e avvenimenti storici, trasponendo i fatti in immagini. Daniele è una eccezione geniale tra gli allegorismi, che in generale possono diventare stucchevoli e anche incomprensibili. Le immagini vigorose che ha sviluppato, la statua composta di diversi materiali, l’imperatore che diventa una belva, i giovani nella fornace, Daniele nella fossa dei leoni, la visione delle belve con l’anziano, la storia di Susanna, si sono svincolate dai legami allegorici e hanno sviluppato una nuova vita, come strumenti interpretativi della Bibbia… Anche se il libro ha difetti evidenti rimane un potente strumento per ravvivare la nostra fede.
Il libro ha ricevuto una redazione molto complessa: è un’opera complessa, scritta in 3 lingue diverse: in ebraico (1,1-2, 4 e cap. 8-12), in aramaico (2,4-7; 28) e in greco (3,24-90 e cap. 13-14). Si tratta di un fenomeno unico nell’Antico Testamento: questa redazione ci fa vedere che i brani in greco possono essere aggiunte posteriori, ma rimane difficile spiegare la mescolanza ebraico/aramaico, nonostante le diverse ipotesi (uso di entrambe le lingue per motivi a noi sconosciuti, traduzione di brani nella lingua più comprensibile a seconda dell’uditorio, unione di brani di lingue diverse e mantenimento del testo originale). Anche la divisione del libro in parti è complicata da definire, anche se la maggior parte degli autori propende per la divisione in racconti (cap. 2-7), visioni (cap. 8-12) e racconti (cap.13-14). La commistione linguistica tra aramaico ed ebraico si conserva in tutte le parti. Il libro ha la ambizione di interessarsi alla storia universale, nelle sue tappe, semplifica e concentra il racconto, come se ci si ponesse su un osservatorio sopraelevato sui secoli e sugli imperi: appare evidente la difficoltà, ma il libro riesce a mantenere una unità di intenti, se non proprio narrativa.
Nella prima parte, i racconti sono contrassegnati dai due sogni, quello di Nabucondonosor e quello di Daniele, che raccontano bene la vita della comunità durante la diaspora giudaica e dei diversi problemi. La seconda parte è composta di 3 visioni raccontate in prima persona, visioni che descrivono il crescente potere della dinastia dei seleucidi e della loro imposizione religiosa. La terza parte è deuterocanonica e contiene 3 racconti molto popolari (Daniele e Susanna, Daniele e i sacerdoti di Bel, Daniele e il drago).
Che cosa possiamo dire sull’autore? Considerata la eterogeneità dei testi, le differenze linguistiche, letterarie e semantiche, il contrasto tra racconti e visioni, è molto improbabile, se non impossibile che il testo sia opera di un solo autore; molto probabilmente c’è stato un unico redattore del testo, che ha utilizzato il meccanismo della pseudoepigrafia, intitolando il testo a Daniele, un personaggio, reale o leggendario, che aveva la capacità, concessa di Dio, di interpretare sogni e visioni. Sembra che in effetti sia esistito un Daniele, famoso per bontà e sapienza, sia esistito e probabilmente sul personaggio storico si sono appuntate numerose altre conoscenze e storie, tutte a supporto della sua capacità interpretativa. In ogni caso il redattore unico del testo ha organizzato i materiali in modo molto comprensibile, unendo i testi in modo ragionato: non possiamo escludere aggiunte a posteriori, ma il testo pur partendo da una redazione complessa si presenta come significativo per molti lettori.
Difficile scegliere un brano da leggere, considerata la natura composita del testo… Il testo ha avuto l’indubbio merito di sostenere la speranza degli israeliti sotto le persecuzioni di Antioco Epifane: le prove sono le stesse, come pure le tentazioni di idolatria. La attesa della fine è la speranza che attraversa tutto il libro: Dio ne assicurerà l’avvento ma il momento non ci è noto: ogni momento della storia è momento dell’intervento divino e il segreto dell’intervento divino è visibile dai messaggeri del Signore, dagli eventi che accadono e il Signore risolve. Possiamo dire che la Apocalisse di Giovanni gli corrisponde nel Nuovo Testamento, come ultimo libro volutamente enigmatico; tuttavia, nella Apocalisse di Giovanni i sigilli sono ormai aperti e finalmente si attende la venuta del Signore, non più scrutando i segni, ma con la certezza del ritorno di Gesù Cristo risorto.