Amos e il culto autentico di Dio Am 5,21-27

Il profeta Amos ha ricevuto molta attenzione di lettura negli anni 60-70, durante le contestazioni studentesche ed operaie… Perché predicava contro la ricchezza! Il commento sociologico di Amos però non menzionava il perché Amos predicasse a favore della povertà: perché voleva richiamare il popolo e la classe sacerdotale al culto autentico di Dio e non alla rivoluzione politica. Detto questo, va sempre ricordato quanto sia importante prima di tutto comprendere le motivazioni della predicazione profetica, quando queste motivazioni siano correlabili alla nostra esistenza e solo così sapremo che cosa possono insegnarci… se si elidono le motivazioni del profeta, a noi può giungere solo un messaggio lacunoso o distorto, che non ci può comunicare nulla in merito alla nostra vita.

Amos è un profeta del Regno del Nord, che si era separato dal Regno di Giuda, dopo la morte di re Salomone: vive nell’VIII secolo, epoca di grande prosperità, dopo il decadimento del regno di Assiria. I commerci tra Arabia. Fenicia e mar Rosso portano ad un aumento della popolazione, le rese agricole aumentano grazie alla maggior manodopera e alle tecniche agricole apprese da paesi esteri, le produzioni manifatturiere come la tessitura e tintura della stoffa fioriscono. È una epoca di grande prosperità, che però nasconde, sotto il lusso e le ricchezze, la decomposizione sociale: facilmente dove ci siano grandi ricchezze, aumenta in breve tempo lo sfruttamento e le condizioni di vita. Se molti contadini sono utili per la produttività, basta una calamità a rendere inutile il loro lavoro, a renderli schiavi di chi può pagare il lavoro a mezzadria. Si aggiunga che la brama di ricchezza di ricchi e commercianti induceva a truffare sui pesi, giungere a imbrogli legali, a corrompere i giudici. Alla decomposizione sociale si aggiungeva la corruzione religiosa: i grandi santuari erano in piena attività sacrificale, pieni di adoratori e adorni di ogni ricchezza, ma la religione non era conservata in purezza. Molti santuari sfioravano il paganesimo, in alcuni si fomentavano altri culti, fino al culto della fertilità. In aggiunta la religione israelitica si era attestata su convincimenti errati, rispetto alle credenze del padri: i benefici ricevuti da Dio in passato come la elezione, la liberazione dall’Egitto, la alleanza del Sinai fomentavano la sicurezza e il senso di superiorità rispetto agli altri popoli, piuttosto che il senso di essere segno di salvezza per tutti i popoli. È in questa situazione di prosperità economica e stabilità politica, di disuguaglianza sociale e ingiustizia, di paganesimo e corruzione religiosa, che si manifesta il primo profeta che lascia opere scritte, Amos.

Questo profeta ci pone ancora di fronte alla domanda, che cosa significa vivere un culto autentico verso il Signore? La fortunata situazione economica ha portato a sfarzi e lussi, ma non si tratta della trasgressione di certi comandamenti, ma si trattava di non provare compassione solidale con gli avvenimenti del popolo di Dio inteso nella sua globalità. La critica del lusso ha la ragione profonda nel fatto che causa ingiustizie, i ricchi possono opprimere i poveri per lucrare sui raccolti. Questo modo di agire è completamente contrario allo spirito fraterno che Dio chiede al suo popolo e ciò nonostante gli abitanti del Regno del Nord trovano questa situazione di disuguaglianza sociale, di oppressione e di ingiustizia sia compatibile con una vita religiosa… I pellegrinaggi a Galgala e Betel si susseguono, si offrono sacrifici ogni mattina, si consegnano le decime, si fanno voti e si celebrano le feste, con la tranquilla coscienza che tutto ciò basti a Dio, che corrisponda alla sua volontà e si vive con la tranquilla coscienza di essere graditi a Dio.

Amos mette in guardia sul fatto che tutte queste pratiche sono risposte al beneplacito dell’uomo, ma non rispondono alla volontà di Dio. Il nostro passo è molto chiaro: i verbi utilizzati sono forti “detesto, respingo” (vv.21-23) e indicano lo sguardo del Signore completamente distolto dall’offerta. L’accento è posto anche sul “vostro”, ripetuto molte volte, che sottolinea la totale estraneità di Dio rispetto a ciò che è stato offerto. La offerta è stata data unicamente per soddisfare le necessità umane di sentirsi graditi a Dio. Anche se tutte le offerte sono più che ricche, grasse, anche se le feste sono solenni, anche se i canti hanno un suono così forte da raggiungere il cielo, il Signore non gradisce, non guarda, detesta e respinge, allontana e non sopporta. Tutti questi rifiuti son seguiti dall’unica azione che il Signore vorrebbe dal popolo, la legge giusta che scorra diritta come l’acqua, che abbia la forza del torrente perenne, che scorre senza sosta (V.24). La immagine è particolarmente forte, se riflettiamo sugli uadi della zona, che sono spesso secchi e in cui scorre acqua a intermittenza… Questa sarebbe una offerta gradita per il Signore, la giustizia che viene esercitata senza sosta e con la certezza che la Legge sia per sempre, a garanzia dei poveri e degli ultimi.

Il v. 25 è eloquente, su come esercitare la giustizia: quando il popolo camminava nel deserto, non poteva certo offrire sacrifici quotidiani e offerte ricche tutti i giorni… eppure, a quel tempo, con una legislazione sperimentale, in ristrette condizioni economiche, pur seguendo un culto minimo, il popolo aveva camminato verso la Terra promessa e la aveva raggiunta. Non sono le condizioni di ricchezza che possono garantire il culto autentico, ma la sincerità con cui si porta la offerta e la giustizia che regna nel popolo a nome del Signore.

Il v. 26 infatti ricorda al popolo di oggi di aver innalzato idoli a dei stranieri… era accaduto anche nel deserto, eppure allora il popolo era stato in grado di uscire dal peccato e rimettersi in cammino, ora il popolo saprà rimettersi in cammino? Il richiamo su “tutte cose fatte da voi” è un richiamo al voi, alle offerte fatte solo per sé e per la propria tranquillità esteriore.

La conclusione è giunge presto: sarà l’esilio in Assiria, inteso come deportazione del popolo, dopo aver perduto la guerra; in diverse occasioni, Amos mette in guardia il popolo, in diverse visioni: il popolo è come un cesto di fichi maturi (8, 1-2) pronto per essere raccolto, incustodito, alla mercé del primo passante. Il primo popolo straniero che si renda conto della ricchezza verrà a conquistare il Regno del Nord e tutti loro verranno deportati (di fatto nel 722 a.C. il Regno del Nord cade per mano assira). In una altra visione (7, 7-9) il popolo è paragonato ad un muro, che però non è a piombo e inevitabilmente crollerà: il problema non sono gli attacchi esterni, il muro non può stare in piedi da solo e crollerà. Il castigo è inevitabile, spiega Amos, ma è possibile tornare alla via della Legge e, anche dentro una situazione difficile come quella del cammino del deserto, sarà possibile tornare alla vera fede. E non conta il culto del Tempio, che non era stato costruito al tempo del cammino nel deserto… Ciò oggi ci interroga su che cosa sia il vero vivere la fede, se anche noi oggi offriamo gesti, che servono solo ad acquietare il nostro senso religioso, senza occuparci che ci sia davvero giustizia, senza sentire compassione verso le persone schiacciate dalle difficoltà e sicuramente siamo tentati da moltissimi lussi e anche dalle possibilità di celebrazioni molteplici tipi di celebrazioni religiose, dai devozionismi, per non parlare delle possibilità di culti estranei alla religione cattolica… il profeta Amos ci da occasione per interrogarci su come personalmente ci facciamo ottundere dai lussi e dagli agi, rimanendo alla fine preda del primo nemico che ci tende un agguato, occasione di riflettere su come partecipiamo alle nostre liturgie, se sono seguite da azioni di giustizia. Come vediamo la profezia di Amos è ancora molto attuale e stimolante, per riportarci sulla via della giustizia.

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