Geremia e la vocazione personale Ger 1,1-19

Il profeta Geremia vive in un periodo molto turbolento dal punto di vista politico: siamo nel periodo della fine del regno di Giuda, che cadrà nel 586 a.C. Conosciamo la sua vita, molto meglio rispetto ad altri profeti, perché ci ha trasmesso la Parola di Dio insieme ai suoi dubbi, ai suoi timori e al racconto delle vicissitudini attraversate. Possiamo ricostruire a grandi linee la sua vita e gli avvenimenti storici, in relazione agli oracoli pronunciati, che però compaiono nel libro non in ordine cronologico, ma di rievocazione personale. Il libro appare infatti redatto come una memoria del profeta, che alla fine della vita ricorda e rilegge la sua esperienza complessiva.

  • 650, nascita vicino Gerusalemme, appartenenza alla tribù di Beniamino;
  • 627, inizio della vocazione e profezia fino alla morte del re Giosia;
  • 609, morte di Giosia e inizio della instabilità politica;
  • 586, caduta di Gerusalemme e conclusione delle profezie per la scomparsa del profeta;

La vita del profeta Geremia è contrassegnata da due periodi diversi, separati dall’anno 609: sotto il re Giosia, nipote del dispotico Manasse, il regno di Giuda vive un periodo di prosperità. I paesi circostanti vedono l’indebolimento della Assiria, dopo la morte di Assurbanipal: il re Giosia tenta la annessione del regno del Nord, mentre i Babilonesi tentano di riconquistare gli immensi territori assiri, non più presidiati. Questa è una epoca di cambiamento religioso, perché Giosia restaura la purificazione dl culto e della Pasqua; contemporaneamente si registra a corte una intensa attività letteraria perché viene redatta la gran parte del Deuteronomio. Purtroppo la situazione internazionale peggiora, perché la debolezza degli assiri è una tentazione troppo forte per i Babilonesi e i Medi: la caduta di Ninive del 612 e le successive battaglie epigone tra egizi, babilonesi e medi (che vedono il Regno di Giuda schierato con babilonesi e medi) portano alla morte di Giosia nel 609 e alla sottomissione del regno di Giuda agli egizi. Purtroppo il regno di Babilonia è destinato alla conquista di tutta l’area, grazie alla abilità militare di Nabucodonosor: la conquista è seguita da alterni periodi di sottomissione del Regno di Giuda a periodi di rivolta, fino a quando Nabucodonosor, sistemate le altre contese nell’area, decide di sottomettere definitivamente il popolo israelita e dopo un anno di assedio Gerusalemme cade e ha inizio la seconda e la più famosa deportazione (la prima è avvenuta nel 598).

Geremia nasce vicino a Gerusalemme, dalla tribù di Beniamino, ma non esercitò mai come sacerdote; ricevette la vocazione molto giovane e, sebbene abbia sempre denunciato di sentirsi impreparato, sarà suo il compito di trasmettere la Parola di Dio negli anni più tragici del regno di Giuda. Collabora alla riforma religiosa di Giosia, anche se compromette significativamente la pratica sacerdotale della sua famiglia; inoltre sostiene la necessità della predicazione alle tribù del Nord, che si erano allontanate dal Regno di Giuda. Questa necessità di missione si unisce ad una generale denuncia della ingiustizia, della bramosia di lucro, del ritualismo religioso che ben presto sostituisce l’afflato rinnovatore della Riforma. Negli anni successivi alla morte di Giosia, la azione di denuncia diventa ancora più forte, anche perché la dimenticanza di Dio aumenta in concomitanza con l’aumento dell’influsso babilonese, e di converso, chi rimane vicino alla fede la vive ponendo un accento feticistico, spesso correlato al tempio e alla ritualità. Dopo la prima deportazione, Geremia predica contro chi incolpa gli esiliati di empietà, perché sottoposti a influenze babilonesi: scrive agli esiliati per sostenerli nella loro difficoltà, invitandoli ad accettare il loro destino, resistendo alla prova, avvisando che la prova durerà a lungo. È interessante che Geremia si concentri nella predicazione sia per gli esiliati sia per coloro che sono rimasti a Gerusalemme: non cade mai nella contrapposizione cattivi/buoni, perché si rende conto, grazie alla profezia, che entrambi i gruppi devono affrontare una dura realtà, Dio ha consegnato il potere del governo ad un re pagano e straniero. Per gli esiliati, si perde la speranza di un ritorno in tempi brevi, per gli abitanti di Giuda significa la rinuncia alla indipendenza politica. La alternativa sta nell’accettare la sottomissione come volontà di Dio oppure nel castigo che seguirà con la ribellione… Geremia ha predicato a lungo sulla necessità di rimanere sottomessi, considerato il potere babilonese: può forse sembrare a noi un avveduto politico, ma era guidato dalla volontà di Dio e gli avvenimenti porteranno il re e il popolo a dargli ragione, ma troppo tardi. Il profeta viene diviso con coloro che possono rimanere liberi (né deportati, né sottoposti al giudizio di Nabucodonosor), ma preferisce vivere con coloro che sono stati deportati e stanno viaggiando verso Babilonia: i disordini successivi fanno perdere le tracce di Geremia.

Non dobbiamo dimenticare, nella predicazione di Geremia, il tema della conversione, che abbraccia aspetti cultuali, sociali, di cambiamento di mentalità, di atteggiamento; la mancata conversione farà sopraggiungere il castigo di Dio. Anche però quando il castigo arriva e per Geremia prende la forma della invasione babilonese, la profezia è ancora aperta alla speranza: Dio cambierà le sorti del popolo, perché non ha troncato il rapporto con il regno di Giuda, perché cambierà il popolo interiormente ed esteriormente, con una missione diversa da come Geremia stesso aveva pensato, ma che Dio aveva già annunciato: “Sradicare e demolire, edificare e piantare” (Ger 1,10). Geremia che ha annunciato e vissuto la tragedia più grande della storia del suo popolo, è stato profeta di consolazione e speranza.

Possiamo ora passare alla lettura approfondita del nostro brano, Ger 1, 1-19, il brano della chiamata e della conversione di Geremia. Questo brano è particolarmente interessante perché è una rievocazione della vocazione profetica ricevuta da Geremia, rievocazione che il profeta fa alla fine della sua vita. Interessante, perché proprio gli ultimi avvenimenti della vita di Geremia lo portano a rivedere tutta la sua esistenza, seguendo la indicazione del Signore: ”Verranno i giorni, oracolo del Signore, nei quali cambierò la sorte del mio popolo”: il senso sta nell’attendere sempre che il Signore ci sveli il senso di ciò che accade, affidandosi a Lui, perché molto probabilmente il senso da noi atteso non è quello che ci avvicina maggiormente alla realizzazione compiuta della nostra vita, secondo il Signore. Per fare un esempio, il popolo di Giuda sia aspettava di vincere contro i babilonesi per tornare libero e invece subisce la deportazione: Geremia profetizza che, attraverso questa grande sconfitta, il popolo possa davvero riavvicinarsi a Signore e consola il popolo stesso, perché Dio sarà vicino sempre, nonostante la delusione e il dolore.

Potrebbe accadere nella nostra vita? A Geremia è accaduto di certo, considerato che apre il libro con versetti che indicano la rilettura della intera parabola della sua esistenza. Vediamo il passo in dettaglio:

  • V. 1,1-3 introduzione storica del profeta
  • V. 1,4-10 la chiamata del profeta
  • V.1, 11-14 i due oracoli di Dio per Geremia
  • V. 1,15.19 la conferma della chiamata.
  • V. 1,1-3: siamo alla introduzione storica del profeta.

E’ sempre significativo, vedere come la incarnazione di Dio nella storia sia sempre presente e di come ne venga dato segno, con la correlazione dell’intervento di Dio a tempi e persone storiche. È la risposta teologica all’amartiocentrismo, che vede nella incarnazione di Gesù solo il gesto riparatore del peccato di Adamo; certamente Gesù assume i peccati per la nostra salvezza, ma è anche sempre presente nella creazione, come persona trinitaria e non esiste solo come incarnazione, perché ciò vorrebbe negarne la natura divina. La Trinità è sempre presente nella creazione e presiede alla missione di custodia del creato dell’uomo.

  • V. 1,4-10 la chiamata del profeta

La sua vocazione è riletta tenendo in mano il filo rosso della sua esistenza, giunto alla fine; il filo che non vedeva nel corso della vita ora gli appare evidente: Dio lo ha creato integralmente, fin da prima della nascita (la fede in Dio non è una scelta successiva, è Dio che ci ha creati e plasmati). Non si tratta di predestinazione, si tratta di destino compiuto di ciascuno di noi, che possiamo scegliere oppure no, in piena libertà. Il verbo usato, formare, è lo stesso usato in Genesi 2,7, che descrive la azione del vasaio che crea in modo completamente nuovo dalla terra. La vocazione non è una sovrastruttura, è il motivo per cui siamo al mondo: l’essere stabilito profeta per le nazioni è di contrasto alla nascita nel villaggio di Anatot. Al v. 5 Geremia non protesta perché si trova al cospetto di Dio, come avrebbe fatto Isaia, ma obietta per il compito troppo grande (sono giovane e non so parlare). Il poter esprimere le proprie difficoltà, dice la natura libera della rapporto con Dio: Geremia chiede di poter capire la natura della sua vocazione, che cosa potrà fare. La dialettica nel rapporto con Dio è fondamentale per dire la libertà di adesione. Dio risponde con l’Io sono con te, che sarà il segno della vocazione di Geremia, la presenza costante di Dio in ogni momento della attività profetica (Geremia constata in vecchiaia la continuità dell’Io sono con te). Dio chiarisce la missione, toccando la bocca e ponendo le parole: il profeta è Parola di Dio, dove il soggetto rimane Dio, che da autorità per le azioni dei verbi finali. Queste azioni ritorneranno nel racconto puntuale dei fatti (Ger 30, 27-29) e sono qui anticipati. Per molti e diversi motivi: per ricordare il castigo, per confermare la consolazione, perché il futuro è alle spalle… noi crediamo perché, come Geremia, abbiamo già ricevuto in vita la conferma della presenza di Dio.

  • V.1, 11-16 i due oracoli di Dio per Geremia

I due oracoli sono raccontati in modo parallelo, con visione e spiegazione; sul mandorlo va spiegato l’intraducibile gioco di parole. Mandorlo si pronuncia shaked; il verbo vigilare si pronuncia shakad e al participio presente, vigilante ha lo stesso suono di mandorlo. Geremia all’inizio della sua vocazione si chiede quale debba essere il suo compito: la intuizione è completa, devo essere il vigilante e Dio conferma che la vigilanza di Geremia può avere futuro perché Dio stesso vigila sulla Parola. Di fatto solo Geremia poteva riconoscere il segno del mandorlo, che per lui è la promessa di Dio che si compie: noi moderni cerchiamo prove, dove Dio si esprime per segni, per rispettare la nostra libertà. Il segno della pentola invece è comprensibile, con la conoscenza della geografia: la pentola può rovesciarsi solo sotto l’impeto dei regni di settentrione, Babilonia e i suoi alleati. La sventura si verserà sul paese, perché Dio stesso ha convocato quei regni contro Giuda, per colpire la sua idolatria.

  • V. 1,117.19 la conferma della chiamata

La conferma vede Geremia reso forte, portatore della profezia, nonostante sia terribile per Giuda; chiunque gli farà guerra non vincerà, anche se del popolo di Giuda. Dio protegge il profeta perché la sua Parola è più forte di ogni arma, ma può arrivare agli uomini solo tramite il profeta.

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