brevissima introduzione all’Antico Testamento

L’Antico Testamento si compone di 46 libri ed è riconosciuto come libro sacro dagli ebrei (noi cristiani abbiamo 5 libri in più, considerati sacri, scritti in greco, che gli Ebrei non comprendono nel canone e sono Tobia, Giuditta, Ester nel testo greco, i libri dei Maccabei, Sapienza, Siracide, aggiunte in lingua greca al Libro di Daniele). I 46 libri sono divisi in 4 parti: la Torah, i libri storici, i libri profetici e i libri sapienziali. Mentre il popolo ebraico da valore di rivelazione di Dio soltanto alla Torah, noi cristiani sappiamo che tutto l’Antico Testamento ha il valore della rivelazione di Dio e il senso di un cammino percorso da Dio accanto a noi.

In genere, ci sono alcune domande e dubbi che sorgono sull’Antico Testamento e sono quelle più frequenti:

  1. Perché leggerlo ancora, se parla di storie accadute migliaia e anche più anni fa?
  2. Tutte le guerre e le violenze commesse nell’Antico Testamento sono vere?
  3. Dio, per come è rappresentato nell’Antico Testamento, è un dio vendicativo e che fa il male?

I racconti dell’Antico Testamento non hanno mai avuto la pretesa di essere una cronaca storica, come noi immaginiamo la storia: il concetto di cronaca storica nasce in tempi recentissimi e tiene conto di tutti i protagonisti di un evento storico. La storia, al tempo in cui vengono scritti i libri dell’Antico Testamento, nelle altre civiltà era concepita come la storia di chi aveva vinto e incaricava lo scriba di raccontare le sue gesta gloriose. I racconti biblici contengono in sé una fondamentale differenza: lo scopo è raccontare la continua vicinanza di Dio al popolo ebraico, attraverso le vicende del popolo stesso. Noi continuiamo a leggerlo perché, in queste storie, a volte personali, a volte familiari, a volte di popolo, Dio mostra di essere vicino a tutti noi, nei secoli.

Queste storie mostrano problemi sempre presenti e indicano, nel bene e nel male, come possano essere affrontati e risolti, ascoltando la voce di Dio… per fare un esempio conosciutissimo, il confronto tra fratelli, Caino e Abele: il male poteva essere evitato, se Caino avesse ascoltato Dio che gli parla direttamente… in più, nel successivo confronto tra fratelli, tra Esaù e Giacobbe, il confronto violento viene evitato e risolto, nonostante ci vogliano anni e molte vicissitudini. Da qui ci ricolleghiamo alle guerre e alle violenze: il racconto non ha mai lo scopo di mostrare potere militare, ma sempre la onnipotenza di Dio verso il mondo, nell’aiutare il popolo di Dio, in ogni situazione della vita, compresa la guerra. Dobbiamo tenere conto che l’Antico Testamento viene tramandato sotto forma di racconto (per molti secoli tramandato a voce nei racconti familiari) e solo all’epoca del re Davide e del re Salomone si inizia a codificare i racconti orali in modo scritto; quando ciò accade, lo scopo diventa mostrare in ogni racconto la vicinanza di Dio.

Le azioni di Dio, che sembrano vendicative e violente, sono la dimostrazione di come il popolo ebraico rilegge le proprie vicende, attribuendo a Dio tutto ciò che accade in loro favore: un esempio classico sono le piaghe di Egitto. Il popolo ebraico, nella ricostruzione avvenuta almeno 700 anni dopo, ha ricostruito tutte le vicende accadute come un segno di Dio a loro favore: noi rileggiamo la intenzione del popolo di rendere grazie a Dio, attribuendogli il merito di ogni avvenimento. Attenzione, l’aiuto di Dio è certamente arrivato, ma è stato rielaborato dal popolo ebraico come azione di un Dio etnocentrico, che muove tutto a favore del suo popolo. Non siamo di fronte quindi ad un Dio vendicativo, ma di una rilettura teologica posta dal popolo nel processo di scrittura, per mostrare la completa onnipotenza di Dio in terra.

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