Sinodalità, democrazia e parlamentarismo

L’autore, Carlos García de Andoin, è Direttore dell’Istituto di Teologia e Pastorale di Bilbao dal 2015.

Quali rapporti ci sono tra sinodalità, democrazia e parlamentarismo? Sono tre presupposti di base.

La Chiesa ha sua identità originale, quindi non si possono trasferire in modo parallelo altri concetti per spiegarne il funzionamento, primo momento sarà spiegare questa peculiarità; secondo momento, che cosa la Chiesa può imparare dalla esperienza di altri contesti, dalla esperienza democrati a dalle risposte che altre società hanno dato alla questione del potere alla questione delle forme di governo e di partecipazione; infine terzo punto, che cosa la Chiesa ha fatto e che cosa può ancora fare di più per contribuire alle forme di democrazia attuali.

Il contributo vedrà un cammino in 10 punti successivi.

  1. La Chiesa sinodale come socio credibile e affidabile per la democrazia
  2. Apprezzabilità della democrazia da parte della Chiesa
  3. Le riserve verso la democrazia come punto di riferimento per il governo ecclesiale
  4. La vera forma della Chiesa; un governo patriarcale di pochi
  5. La comunione non è meno democrazia
  6. La partecipazione consultiva dei laici al decision making
  7. Per una partecipazione deliberativa e decisionale: il decision taking
  8. Il differenziale, la qualità spirituale del discernimento comune
  9. La cultura del consenso e la regola della maggioranza dei monaci
  10. Formare le capacità per il discernimento sinodale
  1. La Chiesa sinodale come socio credibile e affidabile per la democrazia

La chiesa sinodale: c’è chi si oppone alla sinodalità dicendo che la vera sfida è la evangelizzazione; tuttavia non c’è contrapposizione perché è in gioco la sacramentalità della chiesa e la credibilità del kerigma; la sinodalità ha molto a che fare con la evangelizzazione perché ha come obiettivo renderla un soggetto credibile e un socio affidabile per la sfida comune, della ricostruzione della democrazia in un contesto di crisi e sfiducia; infine la vita sinodale della Chiesa può essere offerta come segno efficace e come diaconia per la promozione dei popolo in termini di giustizia.

2. Apprezzabilità della democrazia da parte della Chiesa

Il Cristianesimo ha dato un contributo decisivo per la formazione delle idea di una libertà individuale, che poneva limiti al diritto divino dei re; ma il rapporto della Chiesa cattolica con il trono, il rapporto trono-altare uscito dall’antico regime era dall’antiliberalismo nel XIX e ciò ci ha fatto dimenticare la libertà individuale del Cristianesimo delle origini. Il Concilio Vaticano II ha riconciliato la Chiesa con i sistemi democratici, riconoscendo che un ordina giuridico e politico basato sulle libertà democratiche è più conforme alla dignità umana. La Chiesa ha infatti dato un notevole contributo alla terza onda democratica nei paesi della America latina e della Europa orientale. Infine, il papa ad Atene ha constatato il ritiro della democrazia di fronte alle facili promesse del populismo, c’è crisi di rappresentanza che il papa chiede di risolvere uscendo dalla partigianeria, serve più democrazia.

3. Le riserve verso la democrazia come punto di riferimento per il governo ecclesiale

Il sostegno alla democrazia come sistema politico e al suo miglioramento convive con le riserve verso la democrazia come forma di governo della Chiesa. nel vademecum preparatorio della fase diocesana del nostro sinodo, veniamo messi in guarda dalla tentazione di trattare il sinodo come un parlamento; è un paragone improprio che confonde la sinodalità in una battaglia politica in cui per governare, una parte deve vincere sull’altra; ai pastori viene detto di non temere la consultazione con il popolo di Dio perché ciò non implica che i dinamismi espressi dal popolo di Dio siano trattati con il criterio della maggioranza.

4. La vera forma della Chiesa; un governo patriarcale di pochi

Il fatto è che c’è un silenzio sulla vera forma di governo della Chiesa; se ci atteniamo alla distinzione classica di Aristotele che distingueva tra il governo dei pochi e dei molti, il modello canonico è il modello dell’uno: il romano pontefice, vicario di Cristo, ha potere illimitato che può esercitare illimitatamente; la forma reale somiglia però più ad una aristocrazia, una oligarchia come governo di pochi che sono il clero, oppure l’insieme dei vescovi, a seconda del contesto. La potestà di governo nella Chiesa è comunque affidata al ministero ordinato e non al battesimo e questa è una forma di governo riservato a uomini e celibi, con manifesta esclusione delle donne e degli sposati. Possiamo però dire che senza parità, in questa sfida di governo, non c’è sinodalità.

5. La comunione non è meno democrazia

Si dice che la Chiesa è comunione, non democrazia e si tende a mettere in contrapposizione i due termini, comunione e democrazia. Sono due cose diverse: nella Chiesa il potere viene da Dio e la sua norma è il Vangelo di Gesù Cristo; non c’è costituzione, referendum… Ma se Dio è comunione trinitaria di amore e servizio, se la Chiesa è segno e strumento di questo, come comunione del popolo di Dio e in tutto è santa e cattolica, ciò che non si adatta alla sua missione e sacramentalità è il mimetismo con la monarchia assoluta; la democrazia comporta una antropologia della libertà, della uguaglianza e della fraternità ed è per questo già più conforme alla forma di vita cristiano, salve le differenze del paragone. La comunione non è democrazia, ma non per questo è meno democrazia, piuttosto è molto più di una democrazia.

6. La partecipazione consultiva dei laici al decision making

Approfondiamo alcune implicazioni su questo: la partecipazione consultiva serve a elaborare posizioni e decisioni; quando il governo è di pochi, deve essere incoraggiata la partecipazione di tutti e questa è proprio la partecipazione del popolo di Dio fondata sul battesimo; la commissione teologica internazionale ha espresso nel 2018 nel suo documento sulla sinodalità ha espresso il concetto che una chiesa sinodale deve essere partecipativa e corresponsabile; quale partecipazione e corresponsabilità c’è, se il laicato ha solo consultazione e non voto deliberativo? La consultazione di tutti i fedeli era una pratica medioevale basata su un principio del diritto romano: ciò che riguarda tutti, deve essere discusso da tutti e approvato da tutti. Il che era applicato alle 3 aree della chiesa, sacramenti, fede e governo. La commissione teologica preparatoria del nostro sinodo insiste che il valore del voto consultivo non deve essere sottovalutato, la consultazione in assemblea sinodale esprime i desideri de7 fedeli e ciò va preso in considerazione. Il diritto canonico prevede casi specifici in cui i pastori devono agire solo dopo aver ottenuto il parere dei fedeli; inoltre l’esempio che quando un superiore ha bisogno di un parere di un collegio consultivo, deve convocarlo in modo valido, perché l’atto successivo sia valido; ciò vale anche per il sinodo de vescovi che è consultivo nei confronti del papa e si concede che se il voto è unanime supera il senso formale consultivo. È chiaro che va riconosciuto il diritto canonico del fedele di essere consultato, come passo importante, come voto individuale, come strumento inserito in procedure precise, stabilite chiaramente dal diritto canonico: in quali occasioni il fedele deve essere consultato? Ci deve essere una serie di casi chiari: c’è molto lavoro da fare.

La commissione teologica valorizza al massimo il valore del voto consultivo, ma segna anche un limite al processo decisionale, come differenza tra decisione making/taking affidando la decisione in ultima istanza ai pastori. La elaborazione della decisione è a competenza sinodale, ma la decisione è a responsabilità ministeriale. La commissione teologica puntualizza che la partecipazione consultiva non è conciliarismo ecclesiologico o parlamentarismo, ma in come unione a struttura gerarchica con regime concreto; perché la autorità dei pastori non è delegata o rappresentativa, ma espressione di Dio. La corretta funzione di governo tuttavia non dovrebbe essere separata dalla funzione consultiva, ma dovrebbe esserci solo una distinzione di competenze nella reciprocità della comunione. Ma se fosse davvero così, perché fermare la decisione dei laici al decision making, se non avviene in organo assembleare autoconvocato, ma soltanto in organi sinodali presieduti ministerialmente? La possibilità della consultività è sottoposta comunque alla presidenza ministeriale.

7. Per una partecipazione deliberativa e decisionale: il decision taking

La partecipazione consultiva ha molta strada da fare quindi, a tutti i livelli, diocesi, unità pastorali e parrocchie; ma dove si sia verificata non è ancora stata del tutto soddisfacente, perché non ha supposto una esperienza di corresponsabilità, come ci si poteva aspettare. Si consulta poco, solo su questioni poco essenziali e se c’è disaccordo del pastore con il resto del consiglio, di solito si impone la sua decisione, senza altre consultazioni e spesso senza altre giustificazioni. Accettare che la sinodalità cerca la partecipazione di tutti con l’esercizio della autorità ministeriale, accettare che dentro la Chiesa per sua autorità e tradizione il processo sinodale deve svolgersi in una comunità gerarchica, non in modo assembleare, non in modo aperto e apostolico, accettare solo la partecipazione deliberativa, può andare bene; ma va anche riconosciuto che non c’è motivo di limitare il sensum fidelium ad una funzione consultiva, proprio perché il ministero pastorale non è esterno ma fa parte della assemblea e dell’ordine sinodale; è la partecipazione alla assemblea sinodale che da alla totalità dell’organo la capacità di decisione. Questo è il positivo principio stabilito dalla commissione teologica internazionale: una assemblea non può prendere decisioni senza i legittimi pastori e quindi se i pastori fanno parte del sinodo, allora possono prendere decisioni (non da soli). È vero che la autorità ministeriale non è delegata o rappresentativa del popolo, ma è conferita da Cristo al collegio dei vescovi, presieduto dal papa attraverso la successione apostolica; ma quando comprendiamo il principio da una ermeneutica sinodale, è l’intero organo sinodale che rimane attraversato dal principio della successione apostolica. La sinodalità non è un complemento al ministero gerarchico ma un nuovo modo di intendere il ministero gerarchico nella chiesa.

La commissione teologica internazionale dice, citando papa Francesco, che la sinodalità è il quadro interpretativo più appropriato per comprendere lo stesso ministero gerarchico. In questo principio di comprensione, la sfida non è stabilire la natura consultiva degli organi o la partecipazione dei laici, ma la natura deliberativa e decisionale degli organi stessi: questo non significa che si può decidere ciò che si vuole al margine del ministero apostolico, ma la prospettiva è radicalmente diversa, perché anche se la apostolicità si distingue dalla sinodalità, non è comunque separata. Di conseguenza ciò che dovrebbe essere regolato in primo luogo sono le competenze di ciascun corpo, in termini di corresponsabilità, in modo che possa legittimamente decidere e che nessun altro organismo possa decidere sopra a decisione già prese nell’organismo competente. In ogni caso va stabilito che l’organismo possa emettere raccomandazioni, consigli e proposte e sulla previsione che possano esserci conflitti tra organo sinodale e presidenza dell’organo affidata al ministero apostolico, che siano previste procedure di arbitrato e condizioni di validità delle decisioni, a livelli superiori. Ciò è quello che dovrebbe essere previsto canonicamente.

8. Il differenziale, la qualità spirituale del discernimento comune

Con questo punto, analizziamo la vera differenza, la qualità spirituale del discernimento in comune. Dopo queste riflessioni è pertinente differenziare parlamento da assemblea sinodale? Certamente sì, ma non perché il parlamento non possa essere un luogo di presenza dello Spirito Santo oppure perché sia un luogo di battaglia oppure perché usa la regola della maggioranza. Il parlamento è o dovrebbe essere il luogo per eccellenza della partecipazione dei cittadini e il luogo della deliberazione comune, il canale principale per costruire la volontà nazionale, anche se ci sono prassi non idonee spesso. Allora che differenza c’è tra loro? Una assemblea sinodale risponde alla convocazione del Signore, non così un parlamento; dovrebbe essere sempre esercizio comunitario di ascolto di ciò che il Signore dice alle chiese, non così un parlamento; deve essere sempre una interpretazione dei segni dei tempi nel mondo a partire dalla lettura credente; la chiesa sinodale quando è convocata deve pregare, ascoltare, dialogare, discernere le decisioni sinodali più vicine alla volontà di Dio; quando Francesco ha affermato che il sinodo non è un parlamento, dice proprio che ciò che lo differenzia è un cammino di discernimento spirituale ed ecclesiale che si compie in adorazione e in preghiera, a contatto con la parola di Dio; è la sua apertura alla parola e allo Spirito Santo che lo differenzia dal parlamento.

Antonio Spadaro da alcune chiavi significative per comprendere questo punto; Francesco dice che la sua idea di riformare la Chiesa corrisponde ad una visione ignaziana. Capisce che le riforme strutturali sono necessarie ma capisce che nell’animo di esse è necessario che ci sia la testimonianza di vita e la vita spirituale. Queste sono la garanzia di veridicità di riforma delle strutture, perché per Francesco la riforma è un processo spirituale, Bergoglio si ispira a san Pietro Xavier affinchè ci sia espressione dogmatica e riforma strutturale siano intimamente legate. Secondo questa visione, Francesco rifugge la riforma come ideologia e la rilegge come un processo spirituale che parte dallo svuotamento di sé alla maniera di Gesù. Senza lo svuotamento, la riforma non sarebbe altro che, dice Spadaro, una ideologia del cambiamento, la visione ignaziana è a favore del cambiamento delle strutture per connaturalità. Da questo cambiamento, ne discende che il discernimento è la struttura sistematica della riforma della Chiesa; Francesco non è un sostenitore del discernimento sulle idee, ma sul reale, sulle storie, sulla esperienza concreta. Il punto di partenza è sempre storico: azione e decisioni devono essere accompagnate da una lettura meditativa e orante nella vita dello Spirito Santo. La proposta di riforma è importante come lo spirito che la propone e accompagna, buono o cattivo. In questo senso, riferendosi al sinodo della amazzonia per la ordinazione sacerdotale degli uomini sposati, Francesco scrisse, che la discussione era molto ben fondata, ma senza discernimento; che è diverso arrivare ad una decisione per discernimento che per maggioranza relativa. Il Papa aggiunge che il sinodo è più di un parlamento: su questo argomento, è stato un parlamento ricco, produttivo e necessario. Ma non più di questo. Decisivo averlo presente, nel discernimento finale per la scrittura della esortazione, conclude Francesco, sui viri probati; anche se ha ottenuto i voti, alla deliberazione a maggioranza è mancato il discernimento? Secondo il Papa, per un vero discernimento servono lo svuotamento di sé nella ricerca della volontà di Dio e il modo in cui si realizza la decisione, se realizza comunione o se provoca divisione nella Chiesa. Sono i due indicatori del discernimento, se la decisione è deliberata dallo Spirito Santo. Quando una discussione si pone in termini di antagonismo e opposizione, nella verità di ciascuno, non obbedisce al discernimento nello Spirito di Dio: Francesco ha riscontrato che non si poteva ridurre o dividere la assemblea sinodale in posizioni antagoniste, che non aiutano la missione della Chiesa. Il papa insiste, chi vince nella sua verità non condivisa se ne troverà prigioniere e di posizioni che proiettano insoddisfazione nelle azioni comuni.  In questo modo camminare insieme, diventa impossibile. Il differenziale assemblea sinodale/parlamento ha a che fare con la qualità spirituale del discernimento comunitario.

Per concludere, per una qualità del discernimento comunitario servono:

Fedeltà alla realtà illuminata dallo Spirito Santo

Ascolto orante alla parola in modo fraterno nella comunità

Disponibilità a rinunciare alla propria verità

Costruzione di una comunione nel processo di deliberazione e decisione

9. La cultura del consenso e la regola della maggioranza dei monaci

La deliberazione nella chiesa deve avere quindi queste qualità, che però richiedono un clima di ascolto reciproco e sincera disponibilità al cambiamento personale, rinunciando alle proprie caratteristiche. In queste condizioni, si possono adottare decisioni per consenso. Ma secondo quanto accaduto in Amazzonia, c’è il rischio che una minoranza di blocco possa sempre abortire proposte di cambiamento e riforma. Alcune decisioni richiedono il consenso e bisogna ricercarlo. Ma per molte altre decisioni, non dovrebbe essere temuta la regola della maggioranza: è sempre stata praticata nel collegio cardinalizio per la elezione del papa; il ricorso alla regola della maggioranza è comune nelle assemblee dei vescovi; furono i monaci in Grecia a regolare l’utilizzo di questa formula nella elezione dei funzionari, in sostituzione della elezione per sorteggio. Nell’alto medioevo, per la elezione dell’abate, gli ordini religiosi inaugurarono la tecnica del voto segreto e collegio maggioritario, come dice il politologo Sartori: questo metodo è stato inventato dai monaci, non da John Locke, che poi se ne farà postulatore nella cultura politica del mondo civile nel XVII secolo. La cultura del consenso è un requisito per la maggioranza, requisito inclusivo che però deve anche essere contenuto, che deve essere moderato; è principio inclusivo anche per le minoranze, quando dopo una ampia discussione, sostenuta da una maggioranza, anche minoranza deve imparare ad accettare il risultato con tolleranza e obbedienza. Quando accettiamo in democrazia la maggioranza, sappiamo bene che poi la stessa democrazia ha meccanismi di controllo perché non ci sia abuso del potere maggioritario. I pericoli dell’eccesso di potere nella chiesa non vengono però dall’eccesso di potere della maggioranza, come diceva Tocqueville, ma dal potere dell’uno o dei pochi. Quindi la prospettiva dei meccanismi di controllo dovrebbe essere stabilita non rispetto alle maggioranze, ma rispetto alle minoranze.

10. Formare le capacità per il discernimento sinodale

Significa aprire un itinerario di formazione dentro il sinodo stesso per imparare a discernere in tutto il corpo della Chiesa; è un cammino di riforma permanente in direzione del principio sinodale, una trasformazione del modello di responsabilità e governo nella chiesa del terzo millennio, invertendo la piramide del governo di pochi.

Serviranno certo nuovi strumenti e procedure, riforme canoniche e legali, nuove istituzioni, ma condizionatamente serve una spiritualità per il discernimento sinodale, la cui preparazione non può essere ritardata.

Nell’estate del 2022, ho avuto la opportunità di poter ascoltare il Corso sulla Sinodalità tenuto da diversi teologi e teologhe e organizzato dal Boston College: è stata proposta una formazione online gratuita, in 5 lingue e divisa in 3 settimane successive, con moltissimi interessanti contributi da ascoltare. Le conferenze erano organizzate in tre passaggi: dal discernimento comune alla costruzione del consenso, elaborazione e processo decisionale nella Chiesa, leadership e governance nella Chiesa. E’ stata davvero una bella esperienza di ascolto e inevitabilmente ho iniziato a prendere appunti mentre ascoltavo… Alla fine mi sono ritrovata con tante interessanti riflessioni, che volevo condividere! Ovviamente, si tratta di appunti miei personali e mi prendo tutta la responsabilità di errori di trascrizione o di comprensione: mi sembrava però interessante condividere questi contenuti, in modo che più persone possibile potessero riflettere sul tema della sinodalità. Ed ecco qui questa piccola e personale selezione di contributi: all’inizio di ogni trascrizione c’è il nome del teologo e il suo incarico. Tutte le conferenze sono ascoltabili su https://www.youtube.com/channel/UCLUnOSQE3INWihgBSCjAmhA/featured.

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