Il consenso nella sinodalità

Emili Turù, l’autore di questo intervento, già superiore generale dei Fratelli maristi dal 2009 al 2017, è il segretario generale dell’Usg, Unione dei superiori generali. 

In questo corso ci chiediamo in che cosa la sinodalità si traduca, in modo pratico, nella Chiesa. Alcune presentazioni ci ricordano che il discernimento in comune richiede un atteggiamento di ascolto profondo, e che siamo invitati a fare un alleato del conflitto, che è inevitabile in ogni rapporto umano. In questo testo ci concentriamo sulla creazione del consenso, come modo concreto di discernere in comune, ascoltando lo Spirito di Dio.

1. Significato del consenso

Nel corso della sua storia, la Chiesa ha fatto ricorso a vari mezzi di elaborazione e di decisione, ma sicuramente il più utilizzato è stato il voto, come è avvenuto durante il Concilio Vaticano II; una tradizione che è continuata nei sinodi dei vescovi, e anche per l’elezione dei papi. La Costituzione apostolica Episcopalis communio sul Sinodo dei Vescovi, promulgata nel 2018, parla della «ricerca di un consenso che scaturisce non dalla logica umana, ma dalla comune obbedienza allo Spirito di Cristo» (7), e insiste, citando il Papa Giovanni Paolo II, in cui il cammino verso questo consenso non passa necessariamente attraverso il conteggio dei voti: «Quando si tratta di verificare la fede stessa, il consenso Ecclesiae non è dato dal conteggio dei voti, ma è il risultato dell’azione dello Spirito, anima dell’unica Chiesa di Cristo». Molte istituzioni ecclesiali hanno adottato metodologie di tipo parlamentare per il loro discernimento dove il voto gioca un ruolo importante. Qui invece si tratta di un altro modo di fare, che chiamiamo “consenso”.

Vedremo la sua definizione, che svilupperemo in seguito.

Il consenso è un processo cooperativo di discernimento in cui tutti i membri del gruppo sviluppano e accettano di sostenere una decisione che è nel migliore interesse dell’insieme. Nella costruzione del consenso, il contributo di ciascun membro viene attentamente considerato e viene compiuto uno sforzo in buona fede per affrontare tutte le legittime preoccupazioni.

Il consenso è stato raggiunto quando ogni persona coinvolta nella decisione può dire: “Penso che questa sia la decisione migliore che possiamo prendere per la comunità in questo momento e sosterrò la sua attuazione”. Questo rende il consenso uno strumento molto potente. Semplicemente, una proposta non è un vero consenso. Il consenso implica l’impegno a prendere una decisione. Quando i membri del gruppo si impegnano a prendere una decisione, si impegnano a fare la loro parte per mettere in atto quella decisione. Il consenso è anche un processo di scoperta in cui le persone cercano di combinare la saggezzacollettiva di tutti i partecipanti nella migliore decisione possibile. Il consenso non è una decisione unanime che soddisfa le preferenze personali di tutti i membri del gruppo. Il consenso va oltre il voto di maggioranza, poiché presenta alcuni individui come “vincitori” e altri come “perdenti”. Nel consenso tutti vincono perché gli interessi condivisi sono serviti. Infine, il consenso non è una tattica coercitiva o manipolativa per convincere i membri a conformarsi a una decisione prestabilita. L’obiettivo del consenso non lo è Guardare partecipativo; è Essere partecipativo. Quando i membri si sottomettono a pressioni o autorità senza essere effettivamente d’accordo con una decisione, il risultato è un “falso consenso” che alla fine non porta da nessuna parte.

2. Credenze che guidano il consenso

Secondo Papa Francesco, parlando al Sinodo dei Vescovi nel suo 50° anniversario, “il cammino della sinodalità è il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio. Ciò che il Signore ci chiede, in un certo senso, è già contenuto nella parola ‘Sinodo’. Camminando insieme: laici, pastori, Vescovo di Roma». Per lui il concetto di “sinodalità” sintetizza molti altri elementi chiave della visione del ConcilioVaticano II, che definisce la Chiesa Popolo di Dio. Promuovendo una Chiesa sinodale, il Papavuole portare alla sua piena realizzazione la visione del Concilio.Riconosciamo, dietro la nozione di “sinodalità”, tre insegnamenti del Vaticano II su cui si fonda, eche quindi guidano anche la creazione del consenso:

Crediamo nella presenza e nell’azione dello Spirito Santo

Come cristiani, abbiamo la certezza che è lo Spirito di Dio che guida la Chiesa nel tempo per rispondere alle sfide sempre nuove della storia. Ciò implica che, se crediamo veramente nella presenza dello Spirito nella comunità ecclesiale, dobbiamo fidarci di Lui e dargli spazio perché possa agire e parlarci attraverso un profondo ascolto reciproco. “Una Chiesa sinodale è una Chiesa che ascolta, con la consapevolezza che ascoltare “è più che ascoltare”. È un ascolto reciproco in cui ognuno ha qualcosa da imparare. Fedeli, collegio episcopale, Vescovo di Roma: l’uno in ascolto degli altri; e tutti in ascolto dello Spirito Santo, “Spirito di verità” (Gv 14,17), per sapere cosa Egli “dice alle Chiese” (Ap 2,7)” (Papa Francesco, 50° anniversario del Sinodo dei Vescovi)

Tutti chiamati a partecipare

Il Concilio Vaticano II afferma che tutti i cristiani sono chiamati a partecipare alla vita e alla missione della Chiesa, perché tutti noi siamo «incorporati a Cristo mediante il battesimo…, essiformano il Popolo di Dio e partecipano alle funzioni di Cristo : sacerdote, profeta e re. Essisvolgono, secondo la loro condizione, la missione di tutto il popolo cristiano nella Chiesa e nelmondo» (LG 31).

Invitati al dialogo permanente

Il Concilio insegna anche che la vita interiore della Chiesa deve essere caratterizzata da un dialogo che cerca l’ascolto reciproco per ascoltare lo Spirito Santo. “La Chiesa, in virtù della sua missione di illuminare il mondo intero con il messaggio evangelico e di riunire in un solo Spirito tutti gli uomini di qualsiasi nazione, razza o cultura, diventa segno di fraternità che permette e consolida un dialogo sincero. Ciò richiede, anzitutto, che all’interno della Chiesa si promuova la stima, il rispetto e l’armonia reciproci, riconoscendo tutte le legittime differenze, per aprire, con sempre maggiore fecondità, il dialogo tra tutti coloro che compongono l’unico Popolo di Dio, entrambi i pastori e gli altri fedeli. I vincoli di unione dei fedeli sono molto più forti delle ragioni di divisione tra di loro. Ci sia unità in ciò che è necessario, libertà in ciò che è dubbio, carità in tutto». (Gaudium et spes 92). Sulla base di queste convinzioni fondamentali del Vaticano II, che pongono le basi per la creazione del consenso, ne dettagliamo di seguito alcune altre, anche molto importanti:

Testimonianza profetica dell’unità nella diversità

Il nostro mondo attuale è segnato da profonde divisioni e disuguaglianze. In molti luoghi, la violenza è ancora usata per risolvere i conflitti. In questo contesto è fondamentale la testimonianza profetica che le nostre differenze ci arricchiscono e che è sempre possibile entrare in dialogo: «Chiediamo a Dio di rafforzare l’unità all’interno della Chiesa, un’unità che si arricchisce di differenze che si riconciliano con l’azione Spirito Santo . Perché «siamo stati battezzati nello stesso Spirito per formare un solo corpo» (1 Cor 12,13) dove ciascuno dà il suo peculiare contributo. Come diceva sant’Agostino: “L’orecchio vede attraverso l’occhio, e l’occhio ascolta attraverso l’orecchio” (Fratelli Tutti, 280). “È anche urgente continuare a testimoniare un cammino di incontro tra le diverse confessioni cristiane. Non possiamo dimenticare quel desiderio espresso da Gesù Cristo: «Che tutti siano una cosa sola» (Gv 17,21). Ascoltando la sua chiamata, riconosciamo dolorosamente che il processo di globalizzazione manca ancora del contributo profetico e spirituale dell’unità tra tutti i cristiani”. (Fratelli Tutti, 280) Quanto qui dice il Papa sull’unità dei cristiani può essere applicato anche alla Chiesa cattolica, segnata a volte da polarizzazioni incapaci di entrare in dialogo. Fratelli Tutti vi invita a creare consenso sociale (capitolo 6). La Chiesa ha una grande opportunità per dimostrare che questo è possibile, creando consenso al proprio interno e offrendo esempi concreti di come costruirlo.

Ricerca cooperativa di soluzioni

Il consenso è un discernimento comune, che è più della somma dei discernimenti individuali. Il soggetto del discernimento comune è la comunità e quindi è una ricerca collaborativa piuttosto che uno sforzo competitivo per convincere gli altri ad assumere una posizione particolare. Ogni membro della comunità deve essere disposto a rinunciare alla “proprietà” delle proprie idee e consentire a tali idee di perfezionarsi man mano che vengono presentate preoccupazioni e prospettive alternative. Con grande umiltà e apertura alla guida dello Spirito Santo, si intraprende una ricerca cooperativa.

Il disaccordo come forza positiva

Papa Francesco in Fratelli Tutti dice che «le differenze sono creative, creano tensione e nella risoluzione di una tensione sta il progresso dell’umanità» (FT 203). è attivamente incoraggiato Il disaccordo costruttivo e rispettoso. I partecipanti devonoesprimere punti di vista diversi, criticare idee ed esprimere preoccupazioni legittime perrafforzare una proposta. Consensualmente, utilizziamo la tensione creata dalle nostre differenzeper muoverci verso soluzioni creative. non verso il mero accomodamento o la mediocrità.Ascoltiamo ancora Papa Francesco in Fratelli Tutti: ho ripetutamente proposto «un principio che è essenziale per costruire l’amicizia sociale: l’unità è superiore al conflitto. […] Non si tratta di scommettere su un sincretismo o sull’assorbimento dell’uno nell’altro, ma sulla risoluzione su un piano superiore che conservi in sé le preziose potenzialità delle polarità in conflitto». Sappiamo bene che “ogni volta che le persone e le comunità imparano a puntare più in alto per noi stessi e per i nostri interessi particolari, la comprensione e l’impegno reciproci si trasformano […] in un’area in cui conflitti, tensioni e anche quelli che avrebbero potuto essere considerati opposti nel passato, possono realizzare un’unità multiforme che genera vita nuova» (FT 245).

Ogni voce conta

San Paolo dice che «per mezzo dello stesso Spirito siamo stati tutti battezzati in un solo corpo, ebrei o greci, schiavi o liberi, e siamo stati tutti fatti abbeverare dello stesso Spirito. Perché il corpo non è un membro, ma molte membra… A ciascuno è data la manifestazione dello Spirito per il bene comune» (1 Cor 12). Riconosciamo perciò che ogni persona ha doni e visioni unici concessi da Dio, e che tutti gli interventi meritano rispetto e considerazione. Ogni voce, infatti, conta. D’altra parte, il consenso cerca di bilanciare le differenze di potere. Poiché il consenso richiede il supporto di ogni membro del gruppo, gli individui hanno una grande influenza sulle decisioni, indipendentemente dal loro status o autorità nella comunità.

Decisioni nell’interesse della comunità

Conviene ripetere il testo di 1 Cor: … A ciascuno è data la manifestazione dello Spirito per il bene comune. Nel consenso, i decisori e i decisori concordano di mettere da parte le loro preferenze personali a sostegno dello scopo, dei valori e degli obiettivi della comunità. Le preoccupazioni, le preferenze e i valori individuali possono e devono essere presenti, ma alla fine la decisione deve servire gli interessi collettivi. Favorendo collaborazione piuttosto che il confronto contraddittorio, le procedure di consenso aiutano tutti a cercare insieme il pensiero di Cristo. Piuttosto che puntare al successo nel dibattito, i partecipanti cercano di capire qual è la «volontà del Signore» (Ef 5,17).

Un singolo membro del gruppo può non essere d’accordo con una decisione particolare, ma accettare di sostenerla perché:

• la comunità ha fatto uno sforzo in buona fede per affrontare tutte le preoccupazioni sollevate.

• La decisione serve lo scopo attuale, i valori e gli interessi della comunità.

• La decisione è una decisione con cui l’individuo può convivere, anche se non è la suaprima scelta.

Incomprensioni sul consenso

Il consenso richiede troppo tempo

La velocità è spesso un fattore importante nel processo decisionale. Una rapida decisione presa da una sola persona o attraverso il voto a maggioranza può essere efficiente, ma può anche comportare un’attuazione più lenta a causa di resistenze o conseguenze impreviste. Considerando, quindi, la questione del tempo, dovremmo chiederci se abbiamo bisogno di decidere rapidamente o piuttosto di attuare rapidamente. Tutto il tempo speso nella fase decisionale viene guadagnato successivamente nella fase di attuazione. Non si può negare che il consenso può richiedere più tempo di altri processi decisionali, ma non deve essere un processo macchinoso e lento. Con la pratica, un processo ben pianificato e abili gruppi di facilitazione possono muoversi verso decisioni di consenso in tempi relativamente brevi.

I risultati sono scarsi

Una preoccupazione riguardo al consenso è che le decisioni risultanti sono poco brillanti o prive di ispirazione perché sono state annacquate da accordi per assicurarsi il sostegno di ciascun membro del gruppo. Tuttavia, un processo di consenso efficace cerca di pervenire a decisioni che rispettino pienamente e riflettano i valori e i criteri essenziali della comunità, affrontando anche le preoccupazioni dei singoli membri. Secondo papa Francesco, «nella dinamica di un sinodo, le differenze si esprimono e si levigano fino a raggiungere un’armonia che non ha bisogno di cancellare i bemolli delle differenze. Questo è ciò che accade nella musica: con le sette note musicali con i loro alti e bassi, si crea una sinfonia maggiore, capace di articolare le particolarità di ciascuna. Qui sta la sua bellezza: l’armonia che ne risulta può essere complessa, ricca e inaspettata. Nella Chiesa è lo Spirito Santo che provoca quell’armonia» (Sognare insieme).

Persone con interessi acquisiti o gruppi di pressione dirottano il processo

Qualunque sia il processo di gruppo, c’è sempre la possibilità che alcune persone con interessi acquisiti possano far deragliare il processo decisionale. Pertanto, alcune regole di base prestabilite, una forte facilitazione e una chiara distinzione tra “blocchi” legittimi e non legittimi di una decisione sono essenziali per evitare che ciò accada.

I leader formali perderanno la loro autorità

Le persone che hanno assunto ruoli di leadership spesso temono che accettare un processo di consenso significhi rinunciare alla loro capacità di influenzare la decisione finale. Si chiedono: “Sto abdicando al mio ruolo di leader se uso il consenso?” Nel consenso, i leader formali partecipano come uno di più al gruppo decisionale. Come qualsiasi altro membro, possono interrompere una proposta se non si sentono a proprio agio con la soluzione. Altre volte il gruppo non prende decisioni, perché non ha l’autorità per farlo, ma è chiamato a “prendere” quelle decisioni, che saranno poi ratificate da chi ha l’autorità per farlo, dopo aver partecipato attivamente nel processo.

“proprietà condivisa” si traduce in una mancanza di responsabilità

La preoccupazione è che nessuno si assumerà la responsabilità di attuare una decisione basata sul consenso perché è una decisione di gruppo, non una decisione personale. Tuttavia, nessun membro del gruppo è anonimo o invisibile nel consenso, anzi. Il vero consenso richiede che ogni partecipante proclami pubblicamente non solo il proprio accordo con una proposta, ma la piena “proprietà” della decisione e il proprio impegno ad attuarla.

La pratica del consenso

Come si costruisce il consenso, concretamente, nella pratica? Successivamente, dettagliamo un processo applicabile, ad esempio, nella celebrazione delle assemblee ecclesiali, dove sarebbe necessario arrivare all’elaborazione o anche al processo decisionale. Una volta che tutti i partecipanti hanno chiaro ciò che deve essere deciso, probabilmente espresso attraverso una domanda ben formulata, ognuno si prende del tempo per la preghiera, l’ascolto dello Spirito. Se il gruppo è numeroso, si possono dividere in piccoli gruppi, nei quali condividere, in uno spirito di preghiera e di profondo ascolto, seguendo, ad esempio, le linee guida indicate per il “colloquio spirituale” nel “Vademecum per il Sinodo sulla la sinodalità”. A seguito di questo ascolto reciproco, ogni gruppo termina con almeno una proposta, che presenterà all’Assemblea.

Proposte simili sono raggruppate nel grande gruppo e si verifica il consenso dell’assemblea. Se fosse positivo, allora abbiamo consenso e l’unica cosa rimasta è la sua applicazione. In ogni caso, potrebbe essere che non ci sia consenso. In questo caso, siete invitati a esprimere le vostre preoccupazioni sulla proposta specifica. Se si tratta di questioni minori, forse la proposta può essere modificata nel grande gruppo e il consenso viene nuovamente verificato.

Se le preoccupazioni richiedono un riesame della proposta, allora sicuramente il processo dovrebbe essere ripreso e dedicare più tempo alla preghiera e all’ascolto reciproco. Se, nonostante le modifiche alla proposta, c’è ancora qualcuno che esprime preoccupazione, quella persona può dare il suo sostegno perché crede che sia stato fatto uno sforzo per affrontare le sue preoccupazioni e perché può accettare la decisione nonostante non sia la sua prima scelta. Oppure la persona può scegliere di starne fuori: sente di non poter dare il suo consenso, ma non lo ostacolerà nemmeno. In entrambi i casi abbiamo raggiunto il consenso del gruppo. Se troppe persone stanno fuori, o se c’è qualche preoccupazione molto importante sui valori fondamentali del gruppo e c’è un punto morto, l’assemblea può scegliere di non prendere la decisione in quel momento, oppure può scegliere una nuova approccio al problema, da quel momento è molto probabile che si generino alternative creative.

Nel campo dell’ecumenismo si parla di “consenso differenziato”, come l’accordo raggiunto dalla Federazione Luterana Mondiale e dalla Chiesa Cattolica nella loro “Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione” (1999). Sebbene tale Dichiarazione non utilizzi la precisa espressione “consenso differenziato”, il concetto è certamente presente nel suo linguaggio, parlando di “consenso sulle verità fondamentali” con “differenze residue” o “diverse spiegazioni”, pertanto non suggerisce piena dottrina accordo, ma piuttosto un accordo abbastanza sostanziale che le differenze rimanenti non sono più considerate una scissione della Chiesa.

Nell’estate del 2022, ho avuto la opportunità di poter ascoltare il Corso sulla Sinodalità tenuto da diversi teologi e teologhe e organizzato dal Boston College: è stata proposta una formazione online gratuita, in 5 lingue e divisa in 3 settimane successive, con moltissimi interessanti contributi da ascoltare. Le conferenze erano organizzate in tre passaggi: dal discernimento comune alla costruzione del consenso, elaborazione e processo decisionale nella Chiesa, leadership e governance nella Chiesa. E’ stata davvero una bella esperienza di ascolto e inevitabilmente ho iniziato a prendere appunti mentre ascoltavo… Alla fine mi sono ritrovata con tante interessanti riflessioni, che volevo condividere! Ovviamente, si tratta di appunti miei personali e mi prendo tutta la responsabilità di errori di trascrizione o di comprensione: mi sembrava però interessante condividere questi contenuti, in modo che più persone possibile potessero riflettere sul tema della sinodalità. Ed ecco qui questa piccola e personale selezione di contributi: all’inizio di ogni trascrizione c’è il nome del teologo e il suo incarico. Tutte le conferenze sono ascoltabili su https://www.youtube.com/channel/UCLUnOSQE3INWihgBSCjAmhA/featured.

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