Il passo sulla istituzione della Pasqua ci da l’occasione per comprendere sempre meglio la natura di documento testimoniale del libro dell’Esodo e della stessa Bibbia; possiamo riprendere ciò che abbiamo detto sul percorso di scrittura della Bibbia, rileggendolo alla luce di questo testo e vedere in pratica come “funziona” il percorso testimoniale della Bibbia.
Questo brano ci rimanda la memoria storica della Pasqua, raccontandola nel contesto stesso delle istituzione della festa: con la celebrazione della Pasqua, le generazioni di Israele conoscono e rivivono la liberazione esodale, perché la memoria liturgica della cena di Pasqua dà loro l’accesso all’evento storico. Abbiamo, come nei Vangeli, un testo che raccoglie tutte le testimonianze dell’evento, un testo che fa memoria dell’evento, che un testo che istituisce il modo di fare memoria dell’evento, un testo che può far accedere il credente attraverso il piano storico al mistero salvifico divino.
Siamo di fronte quindi ad un testo ricchissimo dal punto di vista biblico e molto complesso dal punto di vista letterario, composto di materiale eterogeo sia per contenuto che per epoca; la unità può essere articolata[1] in tre momenti:
Es 12,1-42 il sacrificio della Pasqua
Es, 12,43-49 nuove prescrizioni sulla Pasqua
Es 13,1-16 primogeniti e azzimi
Si tratta di tre momenti paralleli del racconto, che si formano per accumulo in ragione della importanza del fatto storico-istituzionale della Pasqua; in comune le 3 parti hanno la struttura fondata sul binomio parola-evento. La Parola divina precede sempre l’evento, l’evento trova ragione di esistere solo come espressione della Parola e senza la Parola rimane incomprensibile. È una parola liturgico legislativa, l’unione di ciò che è buono con ciò che è giusto, che permette a tutti i futuri israeliti l’accesso alla salvezza. Tutto il testo è la maturazione, l’approfondimento di senso, la evoluzione della celebrazione della Pasqua, sempre nello spirito dell’evento esodico.
Es 12,1-42 il sacrificio della Pasqua
La parte iniziale è il discorso di Jhwh (12, 1-20), sempre prima la parola, che fonda il rito della Pasqua e lo unisce alla festa degli Azzimi; il compito di Mosè è mediare il messaggio di Dio per gli anziani e per il popolo, in questo modo l’evento storico può essere tramandato con le parole del Signore e nella liturgia pasquale sarà poi il capofamiglia a farne una catechesi raccontando tutta la storia. Dalla precisione del testo, possiamo capire che il testo riflette una prassi liturgica consolidata, in cui gli elementi antichi sono commemorati e attualizzati: è proprio la prassi liturgica che crea la salvezza. La Pasqua che viene qui celebrata è unica ed eccezionale, perché si celebra in Egitto, perché avviene prima della consegna della Legge ed è fondativa della dimensione del tempo: tutte le tradizioni in essa richiamate e rilette prendono un nuovo significato, perché si supera la dimensione ciclica del tempo (l’avvicendamento delle stagioni) per entrare nella dimensione del tempo con un senso e una direzione (la salvezza offerta dal Signore).
È interessante che la celebrazione pasquale non sia legata ad una assemblea di popolo, ma alla famiglia: è proprio qui che si manifesta il carattere liturgico, la famiglia come vera comunità cultuale. Per questo motivo le indicazioni di svolgimento sono così puntuali e precisi. Vediamo gli elementi più conosciuti: la abluzione con il sangue collegata alla morte dei primogeniti e il pasto sacro. La abluzione del sangue segna i due spazi della casa, interno spazio del rito, ed esterno spazio dell’esodo da compiere; il sangue è da sempre il segno della vita donata da Jhwh, chi è sotto questo dono è protetto dal Signore e qui ha il senso di dire che tutto Israele è sotto il segno della protezione. La decima piaga ha il senso della contropartita del gesto che ha dato inizio alla vicenda di salvezza del popolo di Israele, la morte per i primogeniti ebrei maschi, cui scampa Mosè: è chiaro che la morte dei primogeniti egiziani è riletta come evento favorevole agli Ebrei, che aiuta la loro fuga. Qui rivediamo la impostazione etnocentrica del popolo che rilegge ogni evento come inviato da Dio a proprio favore e come segno del suo volere. Il pasto sacro è minuziosamente descritto perché rilegge tutte le tradizioni stratificatesi per motivazioni liturgiche: la carne dell’agnello viene arrostita perché così l’agnello conserva la sua integrità (la bollitura non lo permette); le erbe amare sono le erbe del deserto facilmente reperibili che vengono abitualmente mangiate con la carne (oggi vengono mangiate tutte le verdure amare); infine sugli azzimi va detta una parola in più. Esisteva una antica festa degli Azzimi, come rito primaverile dei pastori durante il quale si mangiava pane non lievitato, come privazione in onore per il ritorno delle fertilità della natura: qui il pane non lievitato è il segno della fretta della fuga ma soprattutto del fatto che solo in Dio c’è il tempo della vita, solo Dio è dispensatore della vita. L’assoluto divieto del lievito nelle case, pena la esclusione dal popolo di Israele, è il segno dell’essersi posto sotto la protezione di Dio, unico portatore della vita. Israele mostra una sorprendente capacità di assimilazione e rilettura delle tradizioni, sotto il segno unico dell’Esodo. Tutto l’evento è descritto in modo conciso (12, 26-39), con la frase che viene sempre pronunciata al seder di Pasqua dal bambino più piccolo della famiglia.
Es, 12,43-49 nuove prescrizioni sulla Pasqua
Si tratta di un nuovo testo di indicazioni liturgiche, che include la descrizione della fuga dall’Egitto tra due rituali; sono precisazioni che hanno la stessa autorevolezza delle precedenti perché c’è una unica autorità che emana la legislazione pasquale che viene attualizzata dal popolo nel tempo. La circoncisione è vista come segno netto per la partecipazione, perché simbolo di alleanza e condizione per la partecipazione al culto: come timido segno di apertura agli stranieri, viene concesso che possano partecipare se circoncisi… segnale timido ma presente.
Es 13,1-16 primogeniti e azzimi
Il discorso sui primogeniti riprende il discorso dalla 10ª piaga, spiegandoci delle conseguenza cultuali: il primogenito è del Signore, riscattarlo con una offerta ai leviti era il gesto per riconoscere il dono della vita come dono del Signore. Tutte le primizie, della terra, uomini e animali sono dono del Signore: riconoscere questo dono per Israele significa riconoscere di essere esso stesso come popolo la primizia del Signore come salvezza dal peccato, come primo popolo attraverso cui la salvezza di Dio giunge al mondo.
[1] Michelangelo Priotto, “Esodo”, Edizioni Paoline, 2014, Milano.