Il sassolino teologico di oggi è… una manciata di sassolini, parliamo dei Libri Sapienziali!
I Libri Sapienziali (Proverbi, Giobbe, Qoelet, Siracide e Sapienza) formano un Pentateuco sapienziale e ci mostrano un panorama ampio di situazioni di vita: regnano i saggi, portatori di un sapere che vuole essere sempre nuovo e provocante. Il patrono ed ispiratore di questa raccolta è senz’altro il re Salomone, cui alcuni libri sono attribuiti, secondo il meccanismo della pseudoepigrafia. Sicuramente dovremo considerare Proverbi e Siracide come libri fratelli, per le loro somiglianze; altrettanto potremmo dire di Giobbe e Qoelet, legati dall’anticonformismo e dalla protesta; rimane infine Sapienza, una splendida riflessione di ambiente greco-alessandrino.
Questi libri, pur attingendo alla precedente tradizione biblica, si distinguono nettamente:
- non offrono narrazioni di storia salvifica (che sono sempre belle!)
- non propongono nuove leggi (quelle che ci sono bastano!)
- non raccolgono oracoli profetici (neppure questi ???)
Ma allora, di che cosa parlano? Il lettore è invitato ad una riflessione di tipo nuovo, la Sapienza, che si costruisce tramite un percorso: è esperienza di vita, riflessione su essa, formulazione di massime e accoglienza nel ricevere questa sapienza dalla vita altrui. I libri sapienziali hanno goduto di grande fortuna esegetica in epoca patristica e medioevale, fortuna scemata in epoca moderna e nella fase della ricerca storica, dove anche la esegesi ha subito le pressioni per una ricerca esclusivamente storica, volta solo all’accertamento di fatti, fonti e parole proprie di Gesù e bibliche.
La attuale riscoperta non ha però avere un mero interesse intellettuale e conoscitivo, per superare le secche di una ricerca aridamente storica: dobbiamo piuttosto fare nostro il percorso conoscitivo della Sapienza, sperimentarla, desiderarla, pregare per ottenerla, ascoltarla e perseguirla, dove riusciamo. E una volta raggiunta, continuare a ricercarla, perché come ricorda il saggio Ben Sira “il primo uomo non ne ha esaurito la conoscenza e così l’ultimo non l’ha mai pienamente indagata” (Sir 24,28).
Ben 3 di questi libri, sono attribuiti a Salomone (Proverbi, Qoelet e Sapienza): la attribuzione, pur fittizia, ha un senso! La tradizione biblica di 1Re 5,9-14 attribuisce a Salomone la conoscenza di 3000 proverbi, 1500 poemi e un sapere scientifico enciclopedico. L’universalità del sapere del re è la universalità del sapere del popolo: il re non è sacerdote o profeta, rappresentanti di classi particolari, il suo io regale salomonico coincide, nella parola degli scritti, all’io anonimo di ogni israelita. La saggezza di Salomone, messa in comune con tutto il mondo conosciuto, fa prendere coscienza a Israele sulla sua comune appartenenza alla umanità, pur nella identità di Salomone, figlio di Abramo, figlio di Adamo. La saggezza è dono per l’umanità e per volontà stessa di Dio che ne fa dono al mondo tramite Salomone e il popolo di Israele.
Pur bellissima e affascinante, la lettura dei libri della Sapienza suscita, a primo acchito, una sensazione di carattere sfuggente: è una proposta etica? È uno sforzo di dare un ordine universale? È una serie di regole per il successo personale e pubblico? Un ordine morale? In più ci sono tante prescrizioni e descrizioni, ma poi ci sembra proprio che un proverbio non sia una rivelazione! Non è ovvio che non bisogna fidarsi dei bugiardi? Che il pigro avrà vecchiaia difficile? Che il marito infedele è spendaccione? Tutte considerazioni ovvie e parcellizzate, che comunque ci allontanano da una visione di insieme della Sapienza.
Dobbiamo cercare di non disperderci in parcellizzazioni, e possiamo farci aiutare dallo studioso Alonso Schokel, che definisce la Sapienza, “una offerta di senso”, dove senso è la ragione interiore di un avvenimento, di una scelta, di una vita. Quando parliamo di senso, parliamo di una ricerca continua che l’uomo sulla ragione di essere, di agire, di riflettere. E in più, è una offerta di senso, che nella pedagogia del maestro di sapienza, è sempre aperta alla scelta dell’allievo. Non c’è imposizione di autorità o la leva della legge, il maestro offre un bene prezioso, la Sapienza, che si imporrà da sé, il maestro vuole convincere per la preziosità del bene, non per imposizione. La Sapienza, che si presenta in questa forma variegata, ci rappresenta la nostra vita frammentata, dispersa, a volte indifferente, a volte alle prese con problemi insolubili e quanto vorremmo regole precise, ordini morali universali, regole per il successo… tutte tentazioni! La Sapienza ci propone un metodo, che nasce dalla osservazione della vita, dalla riflessione su di essa e dalla condivisione su ciò che abbiamo imparato, perché il Signore è presente nella nostra vita quotidiana, fin dalla creazione del mondo.
Non è un caso infatti (le parole in ebraico non sono quasi mai a caso e nella Bibbia proprio mai!) che la terminologia usata per parlare di Sapienza non è di ambito intellettuale-conoscitivo, ma piuttosto pratico-tecnico: Sapienza è Hokmà, parola che indica la abilità tecnica dell’artigiano, che sa realizzare una opera pregevole ed è un termine usato per descrivere le abilità degli artigiani che costruiscono il Santuario del Signore. La Sapienza creativa di Dio è donata agli uomini per il santuario, simbolo della concordia di amore della creazione: noi uomini, apprendendo la Hokmà, possiamo custodire la opera creatrice, essere piccoli artigiani della nostra vita, facendone una opera di arte, felici alla fine della giornata e alla fine della vita; dice infatti Siracide, prima della fine non chiamare nessuno beato; un uomo si conoscere veramente alla fine (v.11,28). L’uomo ha quindi questo compito, difficile ma esaltante, compito personale e compito nella comunità, che può essere reso possibile solo dalla Sapienza, che offre all’uomo il senso della vita.
(riflessioni liberamente tratte dagli appunti delle lezioni del prof. don Michelangelo Priotto, presso l’Issr di Fossano, nell’a.a.2011/2012).