Camminare nel deserto

Con il gruppo biblico che seguo, durante il lockdown, ci siamo trovati nella condizione di non poterci vedere e proseguire nel nostro percorso annuale, dedicato ai profeti… Di fatto in quella condizione, non si sentiva profetico nessuno e il tema ha iniziato a sembrarci inadeguato… Così, con il mio amico Piero, abbiamo iniziato a pensare ad altri approcci (Ci vediamo su webex? Dai!) e ad un altro tema, come si fa a continuare a camminare, a vivere, quando intorno inizia a delinearsi un deserto di relazioni, di occasioni di lavoro, di possibilità di guarigione? Non solo il biblista avrà pensato all’Esodo del popolo ebraico nel deserto… così abbiamo iniziato un percorso di riflessione di 4 incontri, per capire che cosa avrebbe potuto insegnare a noi oggi la esperienza dell’Esodo: ingenui allora a pensare che il deserto durasse solo la fase 2, più accorti oggi a vedere che questo deserto rischia di allungarsi e allargare il suo spazio… a meno che noi non proviamo a fermarlo! E’ una lunga lettura, prendetevi il tempo! E buona lettura!

1 incontro – l’inizio del viaggio con Dio e il passaggio del mare Es 14,1-31

Nel libro dell’Esodo, l’uscita dell’Egitto arriva proprio dopo la istituzione della Pasqua… va detto che, nella redazione di questo libro confluiscono molti diversi racconti, formati nella tradizione orale nel corso dei secoli che distanzia l’avvenimento dalla sua redazione in forma scritta. Esodo è il libro propulsivo dentro il Pentateuco e viene codificato al tempo del re Esdra (Es 1-2), con un lavoro di raccolta-collazione-redazione delle tradizioni orali, dopo il ritorno del popolo ebraico dalla deportazione in Babilonia (dopo il 586 d.C.). Re Ciro di Persia autorizza il ritorno del popolo dopo la deportazione e vuole il testo della loro storia da conservare, come storia dei popoli del suo impero: la redazione scritta codifica almeno 4 tradizioni orali, in cui confluiscono tutte le tradizioni delle tribù di Israele. È chiaro che si tratta di una pagina in cui memoria storica e soprattutto religiosa  di intere generazioni di credenti si sono concentrate per farne la espressione centrale della loro fede: una tradizione più antica racconta che il faraone cambi idea, dopo la partenza degli israeliti, li insegua raggiungendoli e venga fermato prima dalla nube luminosa, poi dal grande vento che prima prosciuga le acque e poi sommerge gli egiziani; una seconda tradizione posteriore racconta narra il cambiamento di rotta degli israeliti, per sfuggire all’inseguimento del faraone e il successivo ordine di Yhwh a Mosè di stendere la mano per far aprire le acque e per farle richiudere; una variante interna suggerisce che sia un angelo a interporsi tra israeliti e egiziani. La prima tradizione sottolinea il passaggio dalla paura alla fede in Yhwh per il popolo, la seconda evidenzia la gloria di Yhwh, creatore della storia. L’intero racconto è articolato in 3 momenti (), ognuna delle quali introdotta dalla stessa espressione, Yhwh parlò a Mosè, cui segue sempre lo stesso andamento (discorso di Dio, narrazione, reazione dei protagonisti). Vediamo in breve il crescendo di salveezza.

14,1-14: collocazione goegrafico-temporale dei protagonisti, promessa di salvezza di Dio espressa da Mosè, profeta del popolo;

14,15-25: Dio inizia la azione di salvezza, Mosè è strumento di salvezza, la forza di Dio si dispiega sugli egiziani;

14,26-31: Dio crea la salvezza del popolo e apre ad un giorno nuovo, in cui il popolo di Israele crede.

Da una rapida analisi delle parti, vediamo che Yhwh è il regista di tutto: la triplice parola a Mosè costruisce l’esodo, Mosè è il profeta che ascolta, accoglie e trasmette la Parola di Dio, fedelmente; grazie a lui, il popolo di Israele (e noi insieme!) conosce il significato degli avvenimenti e inizia un faticoso cammino di fede, dalla incredulità alla fede piena. Va detto che le coordinate geografico-temporali in questo contesto assumono non solo un valore descrittivo, ma anche teologico… Il cambiamento di rotta iniziale, l’attraversamento del mare, l’alba di un giorno nuovo, tutto ci fa pensare alla creazione che vedremo in Genesi! La parola che dispiega il potente intervento di Dio (1,3 Dio disse, sia la luce!), il caos e la confusione davanti al mare (1,2 la terra era informe e deserta), l’attraversamento del mare all’asciutto (1.9 le acque… si raccolgano), il passaggio dal buio al giorno (1.4-5 Dio vide che la luce era cosa buona… e fu sera e fu mattina, primo giorno). Come vediamo, la riflessione di Esodo sarà la riflessione di partenza per la scrittura di Genesi, perché è il momento in cui il popolo vede la azione di Dio dispiegarsi e sempre a questo passaggio tornerà nella riflessione, anche e soprattutto per pensare la creazione. L’evento del mare è quello in cui Yhwh manifesta tutta la sua gloria, nella creazione di un popolo nuovo, al primo giorno del cammino di fede.

Un rilievo particolare merita la questione della fede degli israeliti! Per capire meglio che cosa accade nel cuore del popolo, partiamo dalla risposta di Mosè, dal v. 13. Alla voce degli israeliti, spaventati e quindi polemici, iracondi, rivendicativi e infine immemori e ciechi al passato (v. 12, è meglio per noi servire l’Egitto), Mosè non risponde direttamente, ma centra il sentimento che li anima…non temete! Richiamo che tornerà alla teofania del Sinai… di fronte alla azione del Signore, il popolo ha il ruolo del testimone: il testimone vede, è quello il suo compito e mentre vede, inizia a credere. Infatti il verbo vedere ritorna 3 volte, vedrete la salvezza, gli egiziani che vedete, non li rivedrete più; e il termine oggi, hayyom, ritorna due volte, intercalato al vedere: il testimone è tale perché oggi vede! Che cosa vedrà il testimone è il contenuto del v. 14, che risponde direttamente al v. 11. Apparentemente il v. 14 suggerisce un comportamento passivo per il testimone, voi starete tranquilli… e invece la costruzione della frase in ebraico suggerisce qualcosa di diverso, che la traduzione italiana riprende: l’azione è di Dio, combatterà, è tutta volta al popolo e grazie a quella azione noi diventiamo soggetto della azione, noi saremo tranquilli per la fede suscitata in noi, dalla azione di Dio. Solo noi potremo essere, vivere, agire tranquilli, perché Dio ci ha fatto vedere e lì è iniziato il nostro cammino di fede.

Una parola va spesa sulla descrizione dell’evento salvifico come un intervento militare, descrizione certamente lontana dalla nostra mentalità (la presentazione della potenza faraonica v.7, il combattimento di Yhwh a favore di Israele v. 25, lo scompiglio egiziano v.24, la descrizione della vittoria v.30-31), ma che risponde ad uno schema letterario e teologico proprio dell’epoca, in cui la azione militare mette in risalto la azione di salvezza diretta, gratuita e definitiva di Dio, come affermazione del suo potere assoluto sul male (ricordiamo l’approccio etnocentrico di protezione del dio sul proprio popolo, diffuso tra tutti i popoli dell’epoca, da cui la narrazione biblica si differenzia per la mancanza del do ut des, Dio non chiede nulla in cambio perché salva gratuitamente e salva prima di ogni offerta, prima ancora della nostra fede).

 Nella conclusione di questa prima parte dei brani che leggeremo, osserviamo la salvezza concreta e visibile donata da Dio; al v. 29, il piuccheperfetto utilizzato, avevano camminato, da il senso della storicità della azione, mettendo l’avvenimento in un passato già meditato, riflettuto, riconosciuto nella distanza del tempo come fondante (in quel giorno, v. 30). Il popolo inizia a credere… inizia! È una fede fragile, anche se nasce da un evento di creazione; l’uso del perfetto. il popolo temette e credette, non indica una fede meditata e vissuta, ma il riconoscimento, in quel momento storico, della salvezza ricevuta, che genera la fiducia. Il percorso di lettura che affronteremo ci farà conoscere come la fede si radica e si struttura nel popolo di Israele…

Alcuni chiarimenti interessanti…

Il cuore indurito per gli egiziani… che cosa significa? Dio può rendere cattivi? È Dio stesso che suscita il male nei cattivi, perché siano strumento della sua gloria? Antica tentazione sarebbe quella di poter spiegare la intenzione di Dio… perché cercheremmo di superare la nostra umanità e di sostituirci… tuttavia, possiamo provare a dire che questo cuore indurito è spiegato nel testo con il verbo cambiare di intento, il cuore è cambiato nella intenzione, dalla indifferenza per la fuga dopo la morte dei primogeniti, alla possessività (lasciando che Israele si sottraesse al nostro servizio, v.5). Il cuore del Faraone, che si erge a gloria pari a Yhwh, è un cuore che lega, attacca a sé, prende (v.6-7), un cuore che infine soffre solo per la ferita al suo potere, nella morte dei primogeniti e nella fuga, c’è sempre la stessa ferita del proprio potere diminuito; è un cuore che muta nella intenzione di azione, non nella sua conformazione… è lo stesso potere assoluto della Torre di Babele che incatena ad una unica volontà. Il cuore indurito del faraone rappresenta il mistero del male drammaticamente presente nella storia dell’essere umano, il mistero di una persistente volontà di opposizione a Dio, il mistero della tentazione dell’uomo di farsi Caino. L’annientamento al Mar rosso comunica a noi il giudizio irrevocabile di Yhwh, la vittoria definitiva sul male, la speranza di salvezza sempre offerta a chi non indurisce il cuore.

Il richiamo di Dio a Mosè al v. 15… non è forse un po’ brusco? Con questo rilievo, entriamo direttamente nella questione, perché Mosè non è entrato nella Terra Promessa? Mosè, come primo profeta, da un lato eccede e da altri dubita; in questo passaggio specifico, eccede e spiega a parole (forse inutili?) l’azione di Dio, che vista nel suo dispiegarsi dopo, non necessiterà di nessun discorso per essere creduta come salvifica. E proprio per il suo dubitare, la Terra promessa rimarrà promessa nel suo sguardo e non sarà terra sotto i suoi piedi… Personalmente, voglio credere anche ad una altra rilettura del dubbio di Mosè: Dio mostra a Mosè, con il mancato ingresso nella Terra promessa, il fatto che gli obiettivi umani di riuscita, che noi perseguiamo anche credendo nell’aiuto di Dio, non sono che una piccola parte della azione di Dio, che non smette di dispiegarsi oltre noi, oltre le nostre ambizioni… Mosè muore rapito al cielo sul monte Nebo e voglio credere che si sia pacificato in punto di morte, riconoscendo la piccola parte dell’azione di Dio da lui compiuta… beato è colui che si riconosce creatura!

Infine, veniamo al dubbio positivistico, proprio della nostra epoca moderna, alimentato dalla filmografia hollywodiana… alla fine, che cosa è successo davvero? La risposta prevede una premessa, l’evento del Mar rosso non è solo una creazione letteraria, ma è un avvenimento realmente accaduto, a prescindere dalla modalità concreta. Data questa premessa, che discende dall’importanza che l’esodo ha nella liturgia pasquale, nella preghiera dei salmi, nella professione di fede israelitica, nella legislazione successiva, la nostra risposta non può avere la connotazione della cronaca storica moderna. Quello che è successo è stato raccontato da fonti diverse con registri diversi: il racconto di creazione, la proclamazione liturgica, il racconto di battaglia, la manifestazione teofanica, il racconto di giudizio sul bene e il male, che tutti sono stati uniti nella redazione finale in cui ciascuno ha portato uno specifico apporto. La redazione più antica, quella sacerdotale del Tempio, non riporta attraversamento di acque impetuose aperte in due muraglie (e neppure nessun accenno alla altezza dei muri, neppure nella versione meno antica, però!) e si concentra sul forte vento che asciuga le acque. Nella versione meno antica, le acque erano per loro un muro (v.22) richiama il precedente l’uso perifrastico del verbo essere; “era per” richiama la nube che era tenebrosa per gli uni e illuminava per altri (v.20) e si può tradurre con “era considerata come”. È molto probabile che il vento e l’asciugarsi delle acque fossero dovuti al fenomeno dell’alta e bassa marea notturna, il che non rende l’attraversamento di Mosè meno miracoloso… pensiamo che cosa significa guidare nella notte una carovana di uomini, donne e bambini, carichi di tutto quello che avevano in guadi acquitrinosi, sabbie mobili e zone di secca! È lecito supporre che quello stesso fondale abbia poi frenato nell’inseguimento carri, cocchi e cavalli degli egiziani, fino al risalire della marea, che li ha travolti completamente. Perché noi non vediamo già il miracoloso in questa narrazione? Perché abbiamo gli occhi viziati da immagini di muraglie spumeggianti (Il film di Cecil B. Mille ha fatto più danni di tutte le scuole artistiche di pittura precedenti…) che dovrebbero rappresentare la forza di Dio e in realtà finiscono solo per distoglierci dalla dimensione del miracoloso che comprendi solo se lo vivi dall’interno… il miracoloso diventa lo spettacolare per chi osserva da fuori. L’inciampo è particolarmente grave, se pensiamo che noi oggi leggendo ci sentiamo automaticamente fuori dall’evento esodo e ricerchiamo lo spettacolare per vedere il miracolo… e invece noi dovremmo ricollocarci dentro (perché questa storia è stata scritta perché noi credessimo…!) e chiederci, che cosa avverto come miracoloso dentro questo mio camminare verso la fede in Dio? In quali momenti della mia vita ho avvertito di camminare in pericolo e di dover cercare la via tra mille difficoltà? In quali momenti ho avvertito la guida e mi sono sentito protetto dalla nube luminosa? È qui la dimensione del miracoloso, sentire la presenza di Dio che cammina vicino, accanto, davanti…

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