da dove vengono i 10 Comandamenti?

 

Ecco una introduzione storico-biblica[1] al tema! Non si può parlare dei 10 comandamenti, se non racconta brevemente della formazione del libro che ce li consegna, il libro dell’Esodo; e, d’altra parte, Esodo non vuole forse dire uscita? E i comandamenti non sono forse la istruzione, che Dio ci consegna, per uscire dalla schiavitù del peccato? Già solo da questa piccolissima osservazione, ci richiama alla importanza del contesto narrativo in cui incontriamo i 10 comandamenti… Se poi guardiamo alla seconda possibilità di traduzione della parola Esodo, entrata, senza stupirci della contraddittorietà, esodo può essere traduzione dal greco di exosus, uscita, oppure di eisodos, entrata; è invalsa nell’uso la prima traduzione vediamo che questa seconda possibilità ha una sua precisa dignità teologica: dopo la entrata del popolo di Israele in Egitto al tempo di Giuseppe per la carestia, ora questo viaggio nel deserto, a quale entrata prelude? Alla entrata nella comunione con Dio, auspicata dai comandamenti ricevuti, come legge per tenersi vicini a Dio.

Chi ha scritto l’Esodo? Il libro dell’Esodo, pur negando la tradizionale attribuzione di scrittura a Mosè, è inconcepibile, come pure il Pentateuco, senza la personalità di Mosè a suo fondamento: il testo ha avuto diverse redazioni (riscritture) nel tempo, che hanno mantenuto tutte le tradizioni precedenti, senza annullarne nessuna, anche fosse antitetica. Le diverse redazioni sono state del tutto riviste dopo l’esilio di Israele  (586 a.C.), evento che ha portato il popolo ebraico ad una radicale rivisitazione della propria tradizione religiosa. Essendo un testo connesso con la storia di Israele, con i suoi ambienti sociologici (vita quotidiana, culto, ambiente giuridico), in passaggio dalla forma orale a quella scritta, non può che testimoniare la vita di questo popolo. Tuttavia questa compilazione letteraria del materiale biblico diventa una opera di profonda rilettura teologica, perché sono testi scritti alla luce delle fede nel Dio di Abramo: diversamente dai testi, simili, che circolavano nel vicino oriente antico, che si limitano ad essere testimonianza della vita di un popolo, in Esodo troviamo la testimonianza di una storia salvifica, di azione di Dio verso l’uomo. Non conosciamo gli autori dell’Esodo, ma riconosciamo in loro la capacità ispirata da Dio di illustrarci nel racconto la irruzione salvifica di Dio nella storia degli uomini. È il loro lavoro di reinterpretazione teologica che ha permesso al mondo di Israele di affrontare il mondo razionale greco-romano, di inculturarsi in esso, di modificarlo, a differenza di altre tradizioni orientali, che pur esprimendo aspirazioni umane profonde, sono poi cadute nell’oblio (Chi legge più la epopea di Gilgamesh o il poema di Deucalione e Pirra? Che poi sono interessantissimi, ma non mettono in luce alcuna azione salvifica..).

Ultimo punto, la storicità dell’Esodo: i fatti sono tutti veri storicamente? Dovremo qui riflettere sul significato che ha il termine storia, distinguendo almeno tre livelli nella scrittura della storia: il livello documentario, il livello esplicativo e il livello letterario. La verità del livello documentario dipende dai documenti che l’autore ha raccolto e passato al livello della sua critica; la verità del secondo livello dipende correttezza delle ipotesi interpretative con cui l’autore ha messo in relazione, fatti, documenti e testimonianze; infine la verità del livello letterario sta in come l’autore è riuscito a restituire nella narrazione, partendo dai documenti e dalle ipotesi, la identità del popolo di cui racconta. A questo terzo livello il criterio di verità sta nella disponibilità del lettore di riconoscere come vero per lui il senso della narrazione, che gli restituisce gli elementi fondativi del suo esistere.

Applicando questi criteri alla redazione ultima dell’Esodo (IV-III sec. a.C.), e in particolare ai comandamenti, che cosa possiamo concludere? Che il redattore aveva a sua disposizione testi e narrazioni orali molto compositi, di cui avrà vagliato la originarietà, e noi ci fidiamo della sua ispirazione divina; che ha teologicamente redatto il testo, mettendo in correlazione i eventi occorsi al popolo di Israele e la azione salvifica di Dio, che è stata ritenuta costante e affidabile, sempre presente, attraverso il confronto con tutti gli eventi (compreso l’esilio). Noi alla fine non ci chiederemo, rileggendo Esodo, se è vero che Mosè è sceso con due tavole della Legge e dopo quanti giorni… piuttosto, come uditori della Parola, ci chiederemo se il senso dei comandamenti ci richiama alla promessa di Dio, di una vita buona per noi, in affidamento alle indicazioni che ci ha consegnato. Qui sta il livello di verità che interessa noi credenti: Esodo e i 10 Comandamenti ci restituiscono elementi fondativi del nostro essere credenti?  (Al di là di riletture fantasiose di registi hollywoodiani, che non trovano copioni migliori della Bibbia! Per forza non fanno film su Gilgamesh, manca l’interesse principale, l’azione di amore di Dio verso di noi… e dato che a Hollywood sanno che la storia di amore sbanca il botteghino, quale amore più grande…!).

Concludendo, che cosa dire della scrittura del Decalogo? Almeno 3 cose importanti.                                      

  1. Il Decalogo è inserito nel quadro delle manifestazioni di Dio, apice della venuta di JHWH[2], come teofania verbale, la nube che mostra Dio ma insieme lo nasconde dice la volontà di Dio di non imporsi, ma di fare appello alla libertà del partner, nella adesione alla alleanza.                                            
  2. Il Decalogo è infatti in stretta relazione alla alleanza di Israele con JHWH, che viene prima proposta (19, 4-6), poi accettata (19,8) e infine ratificata (24, 1-11). L’orizzonte del Decalogo, nelle istruzioni date al popolo per percorrere la via che lo tenga vicino a Dio, va oltre questo passo di proposta e accettazione, per richiamare alla memoria di chi ascolta, tutti i momenti del cammino nel deserto in cui avevano avuto prova della bontà della promessa di Dio: la manna, episodio qualificante per tutti.      
  3. Infine, erano proprio 10 comandamenti? Il numero 10 non ha una connotazione strettamente numerica (infatti la tradizione ebraica e quella cristiana divergono sulla attribuzione numerica), quanto piuttosto il compito di esprimere il significato simbolico della totalità della volontà divina: è JHWH il Dio di Israele, ma insieme il Dio della creazione che dona all’uomo queste parole di libertà.

[1] Tutti i riferimenti biblici e storici sono tratti da “Esodo”, Michelangelo Priotto, Edizioni Paoline, 2014. Un fondamentale libro, scritto da un inimitabile professore! A lui va tutta la mia gratitudine di allieva e il mio modesto (ma volenteroso!) impegno di diffusione della Parola.

[2] Si legge Adonai, per rispetto ai nostri fratelli ebrei che non leggono mai il tetragramma del nome di Dio, neanche vocalizzato e lo sostituiscono nella lettura con la parola Adonai, che significa, in ebraico, Signore.

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